Pubblicato il Agosto 27th, 2016 | by Roberto Paravani
0Yesterdays – Holdfénykert (2008)
1. Napfénykert ~ Sunlit Garden
2. Végtelen ~ Infinite
3. Ne félj ~ Don’t Be Scared
4. Ha majd egyszer ~ If ever
5. It’s So Divine
6. Hol vagy? ~ Where Are You?
7. Várj még ~ Just Stay
8. Holdfénykert ~ Moonlit Garden
9. Seven
10. Valahol a térben ~ Somewhere in Space
Etichetta Musea/CD
Durata 54’30”
Bazsó Tibor (vocals) ● Bogáti-Bokor Ákos (acoustic, electric and steel guitar, bass guitar, guitar synthesizer, vocals, additional keyboards) ● Csergõ Domokos (drums) ● Enyedi Zsolt (piano, Mellotron, Hammond, Rhodes, Moog) ● Fülöp Tímea (vocals) ● Jánosi Kinga (lead and backing vocals) ● Kósa Dávid (percussion and vocals) ● Kozma Kis Emese (flute) ● Vitályos Lehel (bass guitar)
Yesterdays è il nome di un gruppo nato nel 1998 dalle ceneri degli You and I e formato da giovani rumeni di etnia ungherese, che vivono in Transilvania ma cantano, oltre che in inglese, proprio in lingua magiara. La loro scarna discografia è al momento composta da demo, EP, partecipazioni a tributi e da questo Holdfénykert (“Giardino al chiaro di luna”), un concept su un amore impossibile, pubblicato originariamente nel 2006 da una etichetta ungherese ed ora riedito e rimasterizzato con l’aggiunta di un video-clip da Musea. Le dieci tracce audio mostrano una frizzante commistione di vecchio e nuovo progressive sinfonico, con abbondante utilizzo sia di moderne tastiere elettroniche che di polverose vintage; il tono è poi ulteriormente caratterizzato dalle voci femminili, dalla continua presenza del flauto e soprattutto dalle incursioni di un elegante chitarrista, Bogáti-Bokor Ákos, autore tra l’altro nel ’97 di un lavoro dedicato alla musica degli Yes e di Steve Howe. Ed è impossibile a questo punto non accennare al debito che i nostri pagano sia in termini di suoni che di idee agli stessi Yes. Ma è altresì riduttivo pensare ad un gruppo clone del quintetto inglese. Anzi per descrivere sbrigativamente ciò che è la musica degli Yesterdays, la semplificazione migliore è forse quella di pensare ai Magenta, meno pop, meno artefatti, più freschi anche se con meno esperienza in fase di produzione e meno malizia nel “montaggio”. Derivativo o meno, l’album guizza via leggero e fresco che è una bellezza: Infinite è una delizia jazzy, It’s So Divine testimonia la classe del chitarrista cui si accennava sopra, Seven è una classica suite di stampo sinfonico con l’indiscutibile pregio di essere priva di eccessi, Somewhere In Space è una moderna ballata che potrebbe acchiappare molti consensi (il video clip è proprio di questo pezzo) se solo fosse distribuita e promossa adeguatamente come singolo. Insomma un intrigante esordio seppur con qualche minima e perdonabile ingenuità. Ed un gruppo da tener sottocchio in futuro.