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Pubblicato il Novembre 12th, 2020 | by Antonio De Sarno

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Ubi Maior – Bestie, Uomini e Dèi (2020)

Tracklist
1. Nero Notte
2. Misteri Di Tessaglia
3. Wendigo
4. Nessie
5. Fabula Sirenis
6. Bestie, Uomini E Dèi

Etichetta AMS/CD

Durata 45’33”

Personell
Mario Moi (vocals, violin, trumpet) ● Gabriele Manzini (keyboards, flute) ● Marcella Arganese (electric & acoustic guitars) ● Gianmaria Giardino (bass) ● Alessandro di Caprio (drums)

A quasi cinque anni dal precedente INCANTI BIO MECCANICI arriva il quarto lavoro in studio dei milanesi Ubi Maior, progetto ideato e guidato da Gabriele Manzini (ex The Watch). Nero Notte apre il lavoro con un riff piuttosto hard e blueseggiante e dopo un brevissimo assolo di Marcella Arganese (Mister Punch, Hostsonaten) entra la voce inconfondibile di Mario Moi (“Te lo ricordi quand’eri bimba, sola soletta, solo un mantello nero notte, solo un cavallo di legno rotto”) che ci racconta il mito del bimbo che venne chiamato Kaspar Hauser.

Come si intuisce dall’opener, le atmosfere sono decisamente cangianti: se la matrice di base rimane il classico new-prog anni ’80, con ampi squarci romantici che rimandano ai primi Marillion (pensate a brani come The Web o Grendel), la personalità dei musicisti dà ai pezzi un’impronta ormai riconoscibile. Segue un altro mito (I Misteri di Tessaglia) in cui la voce di Moi tessa una melodia vocale iniziale che a volte ricorda quelle di Eugenio Finardi. Il brano, scritto da Marcella, è caratterizzato da una conclusione epica e ha l’unico difetto di finire troppo presto. Atmosfere sincopate e misteriose per Wendigo, questa volta scritta da Mario Moi. Chiusura con un bel pianoforte drammatico prima dello strumentale Nessie, che permette al gruppo di farsi apprezzare anche per delle parti di tromba “notturna” che portano il sound in territorio inesplorati.

Il concept di fondo, come già evidente dal titolo, riguarda diversi miti e i mostri che ci vivono dentro. Quindi come potevano mancare le sirene di Fabula Sirenis, con Mario che riesce a ingannare l’ignaro ascoltatore con un falsetto davvero incredibile? Un pezzo che cresce ad ogni ascolto, nonostante sia quello più breve del disco. Il brano che da il titolo all’album (questa volta opera di Manzini) chiude il tutto, ed è assolutamente la summa del lavoro, teatrale e romantico, con un grande suono di organo che aiuta l’atmosfera vintage della composizione nella prima epica parte, per poi ripartire con calma con la chitarra acustica e un flauto traverso che riporta veramente indietro nel tempo, fino alla sognante conclusione con note lunghe di chitarra, tromba e pianoforte su un midtempo molto ben riuscito.

Certo, chi non ama la voce teatrale e i testi in italiano potrebbe giustamente passare oltre, perché la cifra stilistica del gruppo è proprio in questo connubio tra la “tradizione” italiana e il prog anglosassone della seconda ondata. Un’ottima idea è stata quella di pensare al pubblico di oltre confine e inserire nel booklet la traduzione in inglese delle parole di un disco che perde gran parte della sua originalità se dovessimo guardare solo la parte strumentale.

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