Pubblicato il Settembre 6th, 2016 | by Lorenzo Barbagli
0The Mercury Tree – Countenance (2014)
1. Pitchless Tone
2. Vestigial
3. Otoliths
4. Mazz Jathy
5. To Serve Man
6. The Ellsberg Cycle
7. False Meaning
8. Artifracture
9. Jazz Hands of Doom
10. Rappel
Etichetta Self Production/CD
Durata 57’13”
Ben Spees (guitar, keyboard, vocals) ● Connor Reilly (drums) ● Oliver Campbell (bass (1, 2, 6, 8, 10), vocals) ● Aaron Clark (fretless bass (3, 4, 5, 7, 9), vocals)
Per capire chi siano i The Mercury Tree, come biglietto da visita basterebbe ascoltarsi la traccia Secret a Matrix dello split EP condiviso con i Red Forman, uscito qualche mese fa. Già solo con questa anticipazione, l’ascolto a scatola chiusa di Countenance si trasforma in sicurezza. Paladini di un progressive rock che si vuole tingere di fusion, questi ragazzi di Portland possiedono un approccio alla materia altrettanto peculiare di quello proposto negli anni da Echolyn e King Crimson. Countenance è il terzo full length dei The Mercury Tree e si rivela come il loro lavoro più maturo fino ad ora, imbarcandosi in un complesso prog con ritmiche, armonie e riff ricavate da jazz e math rock, senza disdegnare l’uso delle harsh vocals, come nell’episodio più estremo Artifracture. Gli arzigogoli di piano elettrico e chitarra creano un’atmosfera singolare e surreale che si trova a metà strada tra la psichedelia e l’hard rock, sintetizzata bene nella lunga Otoliths. Se riuscite a immaginare un punto d’incontro tra una versione meno cervellotica dei Bubblemath e più tenebrosa di Mike Keneally, forse vi avvicinerete al tipo di musica suonato dai The Mercury Tree: la scrittura sicura e potente di Vestigial e To Serve Man mostra un gruppo eccentrico che non si fa problemi ad affrontare la partitura con spunti sonici idiosincratici. Di contro, l’esuberanza iconoclasta diviene più misurata e quasi seriosa nelle performance accademiche delle strumentali Mazz Jathy e Jazz Hands of Doom. Il gruppo comunque si diverte a giocare con le geometriche strutture delle canzoni, testandovi sopra anche melodie orecchiabili, dove l’inaugurale Pitchless Tone spicca per la sua scorrevolezza. I tre non hanno paura di spingersi nella sperimentazione avant-garde, dato che, disseminate qua e là nei brani, si trovano ardite dissonanze con richiami al minimalismo. Si sarà capito che Countenance è un album che ha molto da offrire e che sicuramente non deluderà chi è in cerca di nuovi stimoli dal progressive rock.