Pubblicato il Agosto 27th, 2016 | by Paolo Carnelli
0THE CRIMSON PROJEKCT – Roma, Auditorium Parco della Musica 01/04/2014
Una cosa è certa: il mito del Re Cremisi è ancora tremendamente vivo, almeno a giudicare dalle 1200 persone che hanno riempito la Sala Sinopoli di Roma per il concerto dei Crimson Projekct nonostante ad officiare la cerimonia non ci fosse Sua Maestà Robert Fripp ma solo tre suoi fedeli adepti…
Si è discusso molto, e molto si continuerà a discutere, sull’operato del Crimson Projekct. Qualcuno, indossando i panni di “iena”, ha anche provato a smuovere le coscienze, denunciando una manipolazione genetica e un uso improprio della gloriosa sigla King Crimson, dimenticando forse che sia il progetto in sé, che il nome che lo stesso progetto ha assunto nel tempo, sono stati avallati da Robert Fripp in persona. Del resto, i “nuovi” King Crimson di Mr. Fripp dovrebbero (il condizionale è d’obbligo) concentrarsi su un repertorio differente da quello proposto dal Crimson Projekct, tralasciando quasi totalmente nelle loro scalette la produzione degli anni ’80 a cui invece è indirizzata l’attenzione della formazione guidata da Adrian Belew e Tony Levin. E poi, francamente, proprio la presenza in organico dei due musicisti americani, il cui apporto fu senza dubbio decisivo nel concepimento e nella realizzazione di album come Discipline, Beat e Three of a Perfect Pair, sarebbe dovuta bastare già da sola a certificare la bontà e la serietà dell’operazione.
Sta di fatto che in sede di pianificazione, volendo evidentemente rimpolpare un menu già ricco, i due vecchi amici hanno deciso di offrire al pubblico anche un assaggio del proprio repertorio solista, coinvolgendo nell’operazione altri quattro ottimi musicisti: i batteristi Pat Mastelotto (già nei King Crimson dal 1994) e Tobias Ralph, la bassista Julie Slick e Thomas Reuter alla touch guitar. In questo modo i Crimson Projekct si sono trasformati in una realtà modulare, caratterizzata dalla presenza sul palco di tre “coppie” di strumentisti, capace all’occorrenza di assumere configurazioni differenti: dal semplice trio, al quartetto o al “doppio trio”. La scaletta del concerto romano, senza dubbio uno dei più lunghi del tour partito da Tel Aviv lo scorso 5 marzo, è stata comunque quasi completamente appannaggio del repertorio appartenente alla produzione crimsoniana degli anni ’80 e ’90 (B’Boom, Thrak, Dinosaur, Frame by Frame, Sleepless, Neurotica, Three of a Perfect Pair, Matte Kudasai, One Time, Indiscipline, Elephant Talk e Thela Hun Ginjeet), a cui si sono aggiunti un pugno di brani del Belew Power Trio e degli Stickmen di Levin, Mastelotto e Reuter. Una notevole varietà espressiva che è stata purtroppo vanificata da una scarsa cura delle dinamiche da parte della band, e in parte anche dall’acustica non ideale della sala, con il risultato che i vari brani sono rimasti quasi tutti schiacchiati tra le sonorità taglienti delle chitarre e il rimbombo delle batterie.
Anche nei momenti in cui il numero di musicisti presenti sul palco è stato più contenuto, infatti, la mole di suono prodotta è rimasta apparentemente inalterata, così come la concitazione dell’esecuzione. Un po’ di sollievo per le nostre orecchie è arrivato solo nella parte conclusiva della serata: prima con una sorprendente rielaborazione della Firebird Suite di Stravinsky da parte di Levin, Reuter e Mastelotto, poi con una eterea e sempre splendida One Time. Una buona Red e una divertente Indiscipline hanno chiuso il concerto, prima della consueta raffica di bis, aperta da una breve e poco riuscita cover di In the Court of the Crimson King da parte del solo Adrian Belew che ha finito per sconcertare un pubblico per la maggior parte in crisi di astinenza da Crimson anni 70. A nulla sono valse le ripetute richieste di Starless… per poterne riassaporare la struggente e avvolgente malinconia bisognerà probabilmente attendere il prossimo autunno, quando i nuovi King Crimson di Robert Fripp saranno di nuovo in pista.