Pubblicato il Gennaio 17th, 2019 | by Simone Ercole
0The Crazy World Of Arthur Brown – The Crazy World Of Arthur Brown (1968)
Tracklist
Lato A
1. Prelude/Nightmare
2. Fanfare/Fire Poem
3. Fire
4. Come And Buy
5. Time/Confusion
Lato B
1. I Put A Spell On You
2. Spontanous Apple Creation
3. Rest Cure
4. I’ve Got Money
5. Child Of My Kingdom
Personell
Arthur Brown (vocals) ● Vincent Crane (keyboards, vibes, musical arrangements and orchestration) ● Nick Greenwood (bass) ● Drachen Theaker (drums) ● John Mashall (drums on I Put A Spell On You and Child Of My Kingdom)
Arthur Brown è uno dei personaggi più influenti della storia del rock: basti pensare al cosiddetto “corpse painting”, che farà la fortuna dei ben più famosi Alice Cooper e Kiss. Purtroppo, nonostante la sua interessante discografia fatta anche di collaborazioni illustri (come quella con Klaus Schulze), è rimasto sempre un artista di culto. Questo anche e soprattutto perché l’unico vero successo della sua carriera è stato il singolo Fire, contenuto nell’esordio del suo Crazy World, che ha finito per associare indissolubilmente la sua figura a quella del “God of hellfire” con la testa fiammeggiante.
L’album in questione si rivela essere un po’ una creatura a due facce, frutto del compromesso raggiunto tra il volere di Brown, che spingeva per un intero album concept o “rock opera”, e quello di Kit Lamber, produttore insieme a Pete Townshend, che invece propendeva per canzoni più semplici e commerciali. Decisamente netta quindi la divisione fra i due lati dell’album, con il primo che contiene brani collegati fra loro e abbelliti dall’aggiunta di fiati e archi, mentre il secondo è una raccolta più disomogenea di canzoni di varia natura e provenienza, tra cui due cover. E quale modo migliore di iniziare l’album se non con il micidiale trittico Prelude/Nightmare, Fanfare/Fire Poem e la già citata Fire? Tre brani che formano un’inarrestabile cavalcata verso gli inferi, mettendo in chiaro fin da subito il sound di questa band, caratterizzato dall’organo particolarmente creativo e aggressivo di Vincent Crane e l’interpretazione tra il teatrale e l’urlato di Brown, che tanto influenzerà cantanti come Ian Gillan. Una fanfara di ottoni introduce un intenso crescendo a far da sottofondo al Fire Poem, in cui Brown narra della caduta del protagonista negli inferi, fino all’incontro con il Dio del fuoco infernale, e alla leggendaria marcetta di Fire. Brano geniale nella sua semplicità, è facile capire il perché del successo che si guadagnò, grazie soprattutto allo strano incontro tra la latente inquietudine data dall’interpretazione di Brown e quel senso di canzoncina demenziale e ballabile dato dalla musica. Il resto del primo lato prosegue con brani di ottima qualità come Come And Buy, caratterizzato da cambi continui di tempo e atmosfera e da begli inserti di archi, e la più pacata ed atmosferica Time che confluisce senza pausa nella psichedelia cadenzata di Confusion. Tutti questi brani presentano azzeccate reprise ai temi di Fire Poem e Fire, creando così quel senso di unità voluto dallo stesso Brown.
Il secondo lato, come detto, è molto più disomogeneo, pur contenendo una delle migliori interpretazioni in assoluto del classico I Put A Spell On You, ad opera del non così lontano, stilisticamente parlando, Screamin’ Jay Hawkins. Ed è interessante notare come sia Hawkins che Brown interpretino questo brano quasi come fossero degli stregoni, che appunto lanciano un incantesimo, a differenza delle innumerevoli altre re-interpretazioni che la trasformano in una più semplice e basilare canzone d’amore. Ottime poi la folle e psichedelica Spontaneous Apple Creation e la conclusiva Child Of My Kingdom, probabilmente la migliore traccia del secondo lato nella sua complessità, oltre a vantare l’ennesima ottima interpretazione di Brown. Il resto scivola un po’ in secondo piano per forza di cose, pur trattandosi di un onesto brano pop come Rest Cure e l’ottima e carichissima cover di I’ve Got Money di James Brown, degna di stare lassù con l’interpretazione di I Put A Spell On You.
Un album insomma che oscilla scioltamente tra blues, soul, proto – hard rock e psichedelia, il tutto con una forte componente teatrale, che non guasta mai. Di certo l’ennesimo esempio dell’inarrestabile creatività senza barriere di quei magici anni sul finire dei ’60, oltre che uno dei lavori più riusciti di un artista sregolato come Arthur Brown, ancora oggi in giro a cantare a ballare con un copricapo infuocato a 76 anni suonati.