Pubblicato il Marzo 28th, 2021 | by Antonio De Sarno
0The Anchoress – The Art of Losing (2021)
1. Moon Rise (Prelude)
2. Let It Hurt
3. The Exchange
4. Show Your Face
5. The Art of Losing
6. All Farewells Should Be Sudden
7. All Shall Be Well
8. Unravel
9. Paris
10. 5AM
11. The Heart is a Lonesome Hunter
12. My Confessor
13. With The Boys
14. Moon Rise (An End)
Etichetta Kscope/CD
Durata 52’51”
Catherine Anne Davies (all instruments and vocals except drums) ● Sterling Campbell (drums) ● James Dean Bradfield (vocals on The Exchange)
C’era molta attesa per il secondo album di Catherine Anne Davies, in arte The Anchoress. Attesa ampiamente giustificata per la qualità di quel primo parto uscito nel 2016 dopo una lunga gestazione, un vero gioiello di pop limpido e dotato di una classe invidiabile. E il nuovo disco non delude, anzi, in questi giorni è stato acclamato pressoché ovunque, dal Guardian a testate magari più generose con l’art pop.
Attesa parzialmente rovinata (“spoilerata”?) dall’abitudine, purtroppo, di pubblicare tanti brani da album relativamente brevi per mesi prima che l’intero album sia disponibile. Come succede sempre più spesso, questa forma di promozione comincia a mostrare i suoi limiti nel momento in cui ci approntiamo ad ascoltare l’album completo e siamo inevitabilmente presi dalla smania di passare avanti, rovinando la sequenza che l’artista aveva pensato e preparato. Sequenza studiata nei minimi particolari in questo caso, con tanto di intro e intermezzi strumentali. Abbinare nella stessa sequenza brani ormai arcinoti (i fantomatici “singoli”) a brani completamente sconosciuti non significa ascoltare un album, per come lo abbiamo sempre inteso. Anzi, gioca brutti scherzi con la nostra attenzione e ne usciamo con un vago senza di mancato appagamento.
Tralasciando la bella apertura cameristica di Moon Rise, che nulla aggiunge a quello che sapevamo già della cantautrice gallese, è con Let It Hurt (titolo che la dice molto lunga), prima canzone nuova, che siamo piacevolmente catapultati nello stesso territorio testuale e musicale di Father John Misty: una voce effettata, fill di batteria soffici ma dirompenti, la presenza fondamentale del piano e testi autobiografici al punto di essere quasi dolorosi (come se ci avessero appena svelato un terribile segreto da non ripetere). Questa sarà la cifra stilistica di questo lavoro, che cercherà una via d’uscita dall’oscurità anche drammatica che la nostra artista ha affrontato in questi ultimi anni.
Il dramma esistenziale continua con The Exchange (altro “singolo”), cantato insieme a James Dean Bradfield dei Manic Street Preachers, che ricambia il favore di qualche anno fa. Catherine aveva prestato, infatti, la voce per Dylan and Caitlin nel loro ultimo disco in studio. Il brano occupa lo stesso spazio emotivo di Doesn’t Kill You sul precedente album e difficilmente potrà lasciare indifferente l’ascoltatore. Segue un cambio di marcia con quello che è stato il primo singolo, l’energico Show Your Face (sempre con Bradfield alla chitarra elettrica) e il più recente The Art of Losing (title-track dal ritornello assassino che recita “when did you learn that life was unkind?”) e sono due ottimi esempi di pop rock coinvolgenti che mettono a fuoco tutto il vissuto musicale della nostra (tra le mille collaborazioni ricordiamo anche come la tastierista dei Simple Minds dal 2014 e un bellissimo album uscito da poco in collaborazione con Bernard Butler).
Quindi, All Farewells Should Be Sudden ci riporta verso brani inediti (finalmente!) ed è subito amore (incipit indimenticabile; “Protect me from what I want…”), così come per la struggente All Shall Be Well, bellissimo acquarello per pianoforte e archi che ci trasporta chissà dove (magari dalle parti dell’ultima Lana Del Rey) dalla prima all’ultima nota. Arriva, così, la Cloudbusting di questi anni ’20 di Unravel, anch’essa già edita da qualche tempo. 5AM è, giustamente, sospesa e notturna, il vero cuore pulsante e ferito del lavoro, trattando argomenti molto delicati ed è probabilmente il brano migliore, almeno per l’intensità della interpretazione. Il testo descrive episodi davvero molto personali (tre per essere precisi) e l’arpeggio dolcissimo di piano sostenuto dal violoncello è in fortissimo contrasto con la crudezza delle parole (esempio; “it’s 5am and he’s dripping down my thigh”), ma abbiamo capito che la catarsi arriva solo così, affrontando quello che ci affligge. Esattamente come la nostra ammetteva nel primo album, citando Nietzsche. Esattamente come Tori Amos nella storica Me And a Gun nel suo lontanissimo esordio, LITTLE EARTHQUAKES. With The Boys sembra davvero un inedito di Tori Amos, cosa che effettivamente già viene in mente guardando l’immagine della copertina e che non rende giustizia alla spiccata personalità e talento di Catherine.
Moon Rise (An End), quarto intermezzo strumentale insieme al primo Moonrise, la sopracitata All Shall Be Well e Paris chiude il disco e nonostante sia praticamente lo stesso brano che abbiamo sentito in apertura, qui funziona come momento di riflessione finale di un lavoro che non farà che alzare ancora di più le quotazioni di una delle cantautrici più brave e oneste in circolazione.