Pubblicato il Febbraio 14th, 2021 | by Antonio De Sarno
0Steven Wilson – The Future Bites (2021)
1. Unself
2. Self
3. King Ghost
4. 12 Things I Forgot
5. Eminent Sleaze
6. Man of the People
7. Personal Shopper
8. Follower
9. Count of Unease
Etichetta Caroline/CD
Durata 41’56”
Steven Wilson (vocals, guitars, keyboards, sampler, bass, percussion, programming) ● Nick Beggs (bass on 7, Chapman Stick on 5) ● Adam Holzman (keyboards on 5, 8) ● David Kosten (programming, synthesizers, drums on 9) ● Michael Spearman (drums, percussion) ● Richard Barbieri (synthesizers on 2) ● Jason Cooper (cymbals & percussion on 3) ● Blaine Harrison, Jack Flanagan (backing vocals on 4) ● Elton John (spoken word on 7) ● Bobbie Gordon, Crystal Williams, Wendy Harriott, Fyfe Dangerfield, Rotem Wilson (backing vocals) ● The London Session Orchestra on 5
Ogni disco di Steven Wilson ormai si prefigura, nel bene e nel male, come una specie di evento, almeno nel piccolo mondo del prog. E il ritardo nella pubblicazione di TO THE BONE ha creato aspettative ancora più alte.
Quindi, com’è questo tanto atteso nuovo album? Concettualmente punta il dito contro il consumismo e la superficialità che domina la nostra psiche, grazie agli algoritmi del web e alla trasformazione che la tecnologia comporta al nostro essere più intimo; anche se, bisogna ammetterlo, i testi a volte sono un po’ scontati. La semplice frase o il titolo ad effetto non scavano abbastanza in profondità, ma questa è una caratteristica dell’autore presente fin dai primissimi lavori.
Unself è un intro che ci prepara in qualche modo al disco, un lavoro sospeso e figlio dei suoi tempi, un ronzio e una chitarra acustica arpeggiata molto riverberata che confluisce di colpo in Self. Steven ricorre a un sostegno vocale femminile che, personalmente trovo poco convincente, mentre il rock funk di fondo non sembra così male, riuscendo a disegnare comunque un quadro più inquietante che danzareccio. Pensate ai momenti migliori di Trevor Horn con i Frankie Goes To Hollywood, ma aggiornati al ventunesimo secolo. La successiva King Ghost, primo brano che gioca la carta vincente del minimalismo elettronico e, quindi, l’ottimo pop rock (alla Blackfield…) di 12 Things I Forgot, bastano da soli a rendere il lavoro superiore al precedente TO THE BONE, nell’insieme terribilmente noioso e di maniera. Peccato cardinale per chi vorrebbe avere ambizioni pop.
Eminent Sleaze, altro rock funk che strizza l’occhio in più occasioni ai Pink Floyd di THE WALL, gode di una buona prova vocale di Steven ma, purtroppo non convince mai pienamente, nonostante una produzione sicuramente molto azzeccata. Anzi, possiamo affermare che è proprio il sound design l’aspetto più interessante del disco nel suo complesso. Il sound design e la brevità dei singoli pezzi rendono THE FUTURE BITES un disco assolutamente perfetto per avvicinare nuovi ascoltatori. Si torna al minimalismo con Man of The People, che aggiunge qualche altro tocco Floyd, con un uso sapiente dell’elettronica e un’atmosfera più avvolgente rispetto sia al disco precedente che ai pezzi funky di questo ultimo, compresa la successiva Personal Shopper. Follower è interessante e dopo pochi ascolti è già da considerare come una delle vette del lavoro, grazie alla sua commistione di stili sicuramente più congeniali a Steven, ad esempio i primi Roxy Music, così come è assolutamente affascinante la finale Count of Unease, che ci ricorda le cose buone degli anni ’80 (Japan in primis, ma non solo) e sembra dare un senso a un album che, non possiamo negarlo, potrebbe indicare un buon compromesso tra diverse realtà musicali.
Sicuramente THE FUTURE BITES sarà ancora più divisivo del precedente TO THE BONE, ma forse farà la sua parte per traghettare il genere prog fuori dalla palude autoreferenziale in cui si trova da fin troppi anni e ridare un senso allo spirito di libertà creativa che dovrebbe caratterizzarlo. E ispirare chi non trova il coraggio di gettare lo sguardo della propria creatività un po’ più in là. Che piaccia o meno.