Pubblicato il Settembre 7th, 2016 | by Paolo Carnelli
0Steve Rothery – The Ghosts of Pripyat (2014)
1.Morpheus
2.Kendris
3.Old Man of the Sea
4.White Pass
5.Yesterday’s Hero
6.Summer’s End
7.The Ghosts of Pripyat
Etichetta Self Production/CD
Durata 55’18”
Steve Rothery (guitars & keyboards) ● Dave Foster (guitars) ● Leon Parr (drums) ● Yatim Halimi (bass guitar) ● Riccardo Romano (keyboards & 12 strings guitar on The Ghost of Pripyat). Special guests: Steve Hackett (electric guitar on Morpheus and Old Man of the Sea), Steven Wilson (electric guitar on Old Man of the Sea)
Era il 1985 quando i Marillion raggiungevano il culmine della loro popolarità con l’album concept Misplaced Childhood e il relativo hit single Kayleigh. In quella band si agitava già lo spettro che poi si sarebbe idealmente materializzato in quel di Pripyat. Il chitarrista Steve Rothery ricorda perfettamente quel periodo, per un motivo molto particolare: «Fu proprio all’epoca di Misplaced Childhood che ricevetti una proposta interessante per realizzare il mio primo disco solista, ma fui costretto a rinunciare perché l’idea aveva creato una certa agitazione all’interno del gruppo». Quasi trent’anni dopo, è la necessità di preparare un live set per il guitar festival di Plovdiv, in Polonia, a convincere Rothery a riconsiderare l’idea di concentrarsi sulle sue composizioni, coinvolgendo il chitarrista e amico di lunga data Dave Foster. L’intesa tra i due è immediata e il clima molto rilassato: bastano poche sessioni per tirare giù una serie di pezzi che fanno della freschezza sonora e dell’interplay tra le due chitarre il loro punto di forza. A questo punto, per pubblicare l’album Steve decide di affidarsi all’aiuto dei fan, chiedendo di finanziare il progetto tramite la nota piattaforma Kickstarter. La risposta del pubblico è impressionante: dopo poche settimane il budget è ampiamente raggiunto e il lavoro può procedere verso il suo completamento sotto i migliori auspici. Le sedute di registrazione avvengono presso i celebri Real World Studios e il packaging è curato dal talentuoso artista danese Lasse Hoile. In corso d’opera, c’è spazio anche per due ciliegine non da poco: a dare manforte a Rothery arrivano infatti anche l’ex chitarrista dei Genesis Steve Hackett, nonché il nuovo messia del progressive rock Steven Wilson. Il risultato è una collezione di nove brani strumentali i quali, rispetto alla recente produzione dei Marillion, abbracciano una prospettiva rock nel senso più ampio del termine: l’Hammond, magistralmente suonato dal tastierista Riccardo Romano (proveniente dall’ottima band italiana RanestRane), torna a ruggire in più di un passaggio, e le chitarre non disdegnano moderate dosi di distorsione per sostenere il riffing. A occupare il centro della scena troviamo ovviamente il solismo di Rothery, da sempre vicino al tipico gusto timbrico e melodico, deliziosamente liquido, di Dave Gilmour; per i fan dei Marillion, ecco riaffiorare le tessiture armoniche, gli arpeggi appena sporcati dal chorus e dal flanger che hanno caratterizzato i brani più conosciuti del gruppo. Assolutamente cruciali all’ascolto, dopo l’ottima apertura di Morpheus, risultano gli undici minuti di Old Man of the Sea, dove il “triello” chitarristico tra Steve, Steven e Steve porta il finale a viaggiare altissimo tra nuvole bianche e improvvisi vortici sonori. Quello di cui va dato atto a Rothery è di non aver atteso una vita per buttare fuori un semplice album di standard blues ma di essersi concentrato sul songwriting: «Sicuramente mi ha aiutato l’idea di provare a realizzare un’ipotetica colonna sonora per un film che ancora non era stato girato, cercando di unire atmosfere e stati d’animo differenti, di dipingere dei quadri musicali ben definiti».