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Pubblicato il Settembre 8th, 2016 | by Roberto Paravani

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Ritual – The Hemulic Voluntary Band (2007)

Tracklist
1. The hemulic voluntary band
2. In the wild
3. Late in November
4. The groke
5. Waiting by the bridge
6. A dangerous journey

Etichetta Tempus Fugit/CD

Durata 53’44”

Personell
Patrik Lundström (lead vocals & guitars) ● Fredrik Lindqvist (bass, bouzouki, whistles & backing vocals) ● Johan Nordgren (drums, nyckelharpa & backing vocals) ● Jon Gamble (keyboards, harmonium & backing vocals)

The Hemulic Voluntary Band è solo il quarto album in studio del quartetto svedese, pubblicato a ben quattro anni di distanza dal precedente Think Like A Mountain. L’attesa è stata lunga ma, come vedremo, ne è valsa la pena. Il nuovo album decolla sin dal primo brano: The hemulic voluntary band, oltre ad essere il pezzo che da il titolo all’intero lavoro, è un ottimo quanto inaspettato tributo ai Gentle Giant. A seguire si sale ancora con l’eccellente In the wild, tra malinconie assortite e rumori assordanti. Late in november è una ballata un po’ convenzionale e prevedibile; per fortuna The groke rialza subito e decisamente i toni mentre Waiting by the bridge li stempera di nuovo in quanto titolo più leggero e meno attraente. Siamo alla metà esatta del disco: cinque brani per un totale di ventisei minuti. L’altra metà è occupata da un solo pezzo: A dangerous journey, la prima suite composta nella breve discografia del quartetto. Più che di una vera e propria suite, sembra trattarsi di una sequenza di situazioni ben distinte, quasi fossero sezioni sviluppate separatamente e poi unite in un secondo tempo. Ma di quello che è stato il criterio scelto per lo sviluppo credo debba importare poco o nulla, visto che tutte le idee presentate vanno a segno e i cambi di atmosfera sono gestiti con mano ferma e un briciolo di imprevedibilità. Diciamo anche che la suite, oggetto che desta entusiasmo in molti aficionado e incute timore in altri, sembra addirittura essere l’elemento naturale in cui i Nostri sguazzano meglio, tanto da chiedersi come mai solo al quarto album si siano cimentati in uno ‘sforzo atletico’ di tale portata. Manco a dirlo, A dangerous journey è la cosa migliore dell’album. E probabilmente la migliore della loro non nutrita ma comunque fantastica carriera discografica, iniziata dodici anni or sono, vissuta sempre ai margini del mercato che conta, portata avanti con determinazione, ingegno e profondo amore per la musica.

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