Pubblicato il Febbraio 14th, 2017 | by Roberto Paravani
0Ritual: pensa come una montagna
Il cantante e chitarrista Patrik Lundström, il batterista Johan Nordgren e il bassista Fredrik Lindqvist già dal 1988 sono attivi in una band chiamata Bröd. Termina il 1992 e con esso anche la vita del gruppo; i tre decidono di proseguire insieme e nel febbraio del 1993 a essi si aggiunge il tastierista Jon Gamble, a completare una formazione che rimarrà immutata negli anni: i Ritual. Il primo album esce nel momento in cui dalla Svezia arrivano segnali di vera e propria rinascita del genere prog-rock: Anekdoten, Änglagård, Landberk sono tutti giovani gruppi svedesi, sono tutti talentosi e danno tutti, per una brevissima stagione, l’idea di una scuola, di un suono in grado di riportare il progressive agli antichi splendori e magari calamitare l’attenzione delle major. In effetti in Svezia i giovani che la musica la ascoltano e comprano, pensano a ben altri generi. La scena svedese non esiste, i gruppi citati e i Ritual fanno tutti breccia nei cuori degli aficionados, ma tutto rimane assolutamente circoscritto nel solito ghetto dell’underground, con la promozione affidata quasi esclusivamente al passaparola tra amici. Anche se i lavori del gruppo non vendono milioni di copie, anzi, non producono utili, ai quattro non sembra importare poi moltissimo: i Ritual erano e restano un gruppo-famiglia nato per il puro godimento fisico e spirituale di chi ci suona, in cui il solo cantante è un professionista della musica (vedi in particolare la sua presenza negli ultimi Kaipa) mentre gli altri tre fanno altro per mantenersi.
RITUAL (Musea, 1995) – Il primo, omonimo, folgorante album fa irruzione sul mercato discografico nel 1995. L’album introduce una band solare, potente ma fresca, che dà molto spazio alla musica acustica di diverse tradizioni folk mostrando subito profonde differenze con i più famosi conterranei e coevi Anekdoten, Änglagård e Landberk, che preferiscono sviluppare atmosfere più cupe. E dove i connazionali creano trame complesse in spazi dilatati, i nostri restano fortemente legati alla forma canzone: da una parte vagamente imparentata con certi episodi acustici dei primi Led Zeppelin, dall’altra altrettanto vagamente riconducibile a certi saliscendi melodici dei vecchi Yes. Il debutto colpisce per questo, per i suoni, per la corposità degli arrangiamenti e soprattutto per la robustezza del songwriting, una qualità che non verrà mai meno anche in futuro, indipendentemente dagli stili toccati. Sorprende anche la professionalità della produzione affidata al gruppo stesso ed a Hans Frediksson, il quinto elemento della band, in quanto responsabile dei suoni e dei missaggi sia in studio che dal vivo.
SUPERB BIRTH (Ritual AB, 1999) – Passano ben quattro anni ed i nostri tentano la strada dell’autoproduzione per il nuovo album che vede il gruppo virare decisamente verso suoni più cupi e aggressivi, con arrangiamenti più moderni, con l’obiettivo di ottenere consensi più ampi. I Ritual abbandonano quindi l’eterogeneità di temi del debutto: pochi spunti folk, ritmi più serrati a sostegno di melodie più orecchiabili. Da un punto di vista strettamente qualitativo però, il risultato finale è in sensibile regresso rispetto all’esordio. E l’idea di produrre l’album in proprio, crea considerevoli problemi nella distribuzione, visto che i quattro hanno ben poco tempo a disposizione, presi come sono da altre attività più remunerate, anzi remunerate, visto che ormai è chiaro che il progetto musicale non è in grado di produrre guadagni.
THINK LIKE A MOUNTAIN (Tempus Fugit, 2003) – Passano ulteriori quattro anni ed è la volta di un nuovo album, anche questa volta diverso dal precedente. Il tentativo di attrarre nuovi seguaci tramite musica più diretta tentato con SUPERB BIRTH, non ha prodotto particolari risultati. I Ritual tornano quindi ai temi del loro magnifico disco di esordio, a cui questo nuovo lavoro è paragonabile anche da un punto di vista strettamente qualitativo. Tornano prepotentemente i temi folk, a cui si aggiungono fragranze tipiche della tradizione popolare araba. E migliora anche la reperibilità dei CD, visto l’approdo all’etichetta Tempus Fugit che provvede anche a ristampare il mal distribuito lavoro precedente. Nonostante gli impegni, in tutti questi anni i Ritual sono sempre riusciti a ricavare del tempo per qualche sporadico concerto e alcuni brevi tour. Dai concerti relativi ad un tour europeo del 2004 in compagnia dei conterranei e amici Anekdoten, nel 2006 viene ricavato un doppio CD dal vivo intitolato semplicemente LIVE, che dimostra quanto il gruppo sia abile anche dal vivo e come riesca a riprodurre con soli quattro elementi tutte le complesse sonorità create in studio.
THE HEMULIC VOLUNTARY BAND (Tempus Fugit, 2007) – Passa un nuovo quadriennio e i quattro, ormai assorbiti da lavoro e famiglia, sentono di nuovo l’urgenza di creare musica. Il nuovo album presenta ancora una volta delle novità, poiché mentre la prima metà rispetta il formato canzone, l’altra metà è occupata da un solo pezzo, A Dangerous Journey, la prima suite composta nella breve carriera discografica del quartetto svedese. Più che di una vera e propria suite, sembra trattarsi di una sequenza di situazioni ben distinte, quasi fossero sezioni sviluppate separatamente e unite in un secondo tempo. Ma di quello che è stato il criterio scelto per lo sviluppo poco importa, visto che tutte le idee presentate vanno a segno e i cambi di atmosfera sono gestiti con mano ferma e un briciolo di imprevedibilità. Il formato esteso sembra addirittura essere l’elemento naturale in cui i nostri simpatici svedesi sguazzano meglio, tanto da chiedersi come mai solo al quarto album si siano cimentati in uno “sforzo atletico” di tale portata. Manco a dirlo, è la cosa migliore dell’album. E probabilmente la cosa migliore della loro non nutrita ma comunque fantastica carriera discografica, vissuta sempre ai margini del mercato che conta, portata avanti con determinazione, ingegno e profondo amore per la musica.