Pubblicato il Agosto 27th, 2016 | by Massimo Forni
0PINK FLOYD – Ummagumma (1969)
Tracklist
Lato A
1. Astronomy Domine
2. Careful with That Axe, Eugene
Lato B
1. Set the Controls for the Heart of the Sun
2. A Saucerful of Secrets
Lato C
1. Sysyphus
2. Grantchester Meadows
3. Several Species of Small Furry Animals Gathered Together in a Cave and Grooving with a Pict
Lato D
1. The Narrow Way
2. The Grand Vizier’s Garden Party
Personell
David Gilmour – lead guitar, vocals, all instruments and vocals on The Narrow Way ● Nick Mason – percussion, all instruments (except flutes) on The Grand Vizier’s Garden Party ● Roger Waters – bass guitar, vocals, all instruments and vocals on Grantchester Meadows and on Several Species of Small Furry Animals… ● Richard Wright – organ, keyboards, vocals, all instruments and vocals on Sysyphus
Ummagumma? Che disastro! La parte dal vivo è un insieme di brani che abbiamo suonato per molto tempo in tutta l’Inghilterra; abbiamo deciso di registrarli prima di abbandonarli definitivamente. Questo perché dal vivo hanno sempre subito notevoli cambiamenti, rispetto all’edizione in studio — ROGER WATERS
Il doppio album Ummagumma dei Pink Floyd, pubblicato il 25 ottobre del 1969, nonostante la drammatica fuoriuscita di Syd Barrett sia ormai all’epoca un evento definitivamente consegnato alla storia della musica, chiude idealmente il primo periodo dell’avventura musicale del gruppo…
Un periodo permeato comunque dal genio creativo dell’ex leader che, col suo amore viscerale per la psichedelia, continua ad influenzare in modo evidente la produzione discografica dei musicisti inglesi, pur desiderosi di tentare anche percorsi del tutto innovativi. Una produzione contrassegnata da una sperimentazione davvero spinta, estrema, da una discesa ardita nei meandri più oscuri della psiche, grazie anche a una affinata capacità tecnica, che consente al gruppo di sfruttare pienamente ogni risorsa sonora dello strumento musicale, dell’elettronica e di ogni moderna tecnologia, in modo da conferire al linguaggio musicale ulteriori caratteristiche e veicolare, così, qualcosa di profondo e di complesso. La vera (e prima) svolta si sarebbe poi realizzata l’anno seguente con l’uscita di Atom Heart Mother, ambiziosa e magniloquente opera sinfonica, dal fascinoso impatto e dalle chiare sfumature epiche, che fece gridare al “miracolo” la critica musicale per la sua bellezza e originalità: fu il primo album a raggiungere la posizione n. 1 della classifica inglese di vendite.
Ummagumma (un po’ sulla scia di Wheels Of Fire dei Cream dell’anno precedente, parimenti articolato in due sezioni, una “live” e l’altra in sala di registrazione), si compone di due dischi: il primo dal vivo, una sorta di resoconto sonoro dell’attività concertistica dei nostri, nel quale i quattro brani proposti (tutti tratti dai primi due album) vengono eseguiti in una versione dilatata, eccellente e spettacolare, una musica a volte onirica, spaziale e trascinante (come in Astronomy Domine, fantastica avventura siderale, che Barrett iniziò a comporre nel lontano 1965), altre volte rarefatta, magica ed ipnotica (come in Set The Controls For The Heart Of The Sun di Waters, sostenuta ritmicamente dal pulsare continuo del basso e da un utilizzo quasi tribale dei timpani, e immersa in una suadente atmosfera orientaleggiante, dal sapore vagamente mistico) e comunque sempre di non facile fruizione. Set The Controls parte da un’idea semplice per poter essere affidata all’estro improvvisativo degli artisti, i quali realizzano un magnifico quadro sonoro: il brano veniva eseguito dal vivo già nel ’67 con Barrett durante il tour con Jimi Hendrix. Le registrazioni del disco sono tratte dai concerti tenuti nello stesso anno di pubblicazione al The Mother’s Club di Birmingham e al Manchester College of Commerce ma, secondo quanto riportato in un libro di Glenn Povey e Ian Russell, sarebbe stato incluso anche materiale registrato al Bromley Technical College.
Il secondo long-playing, inciso in studio, frutto di un’idea del tastierista Richard Wright è invece il risultato (per la verità, alquanto deludente e forse per questo scartato dagli stessi autori dall’importante cofanetto retrospettivo dato alle stampe alcuni anni fa), del contributo di ogni singolo musicista, chiamato a eseguire un proprio, distinto progetto musicale, senza alcun aiuto da parte dei colleghi, al di fuori dell’ormai consolidata intesa collettiva. Una sorta di contraltare, dunque, rispetto al primo disco, per un singolare ibrido. Diversamente da quanto accade per altre formazioni, nelle quali a volte la personalità artistica dei singoli musicisti risulta compressa dall’ingombrante presenza della band (e trova nel disco solistico la sua più fluida ed efficace espressione), in Ummagumma, dopo lo splendido “live”, le parti affidate ai singoli non liberano l’estro creativo dei musicisti, consentendo di esprimere più compiutamente le proprie idee in un linguaggio libero da vincoli di programma. Al contrario, si ottiene l’effetto opposto: quello di rafforzare i limiti di ispirazione, enfatizzare qualche personale lacuna, dando vita così (tranne qualche spunto pregevole di Waters nel folk campestre di Grantchester Meadows, un autentico inno naturalistico, e nell’accettabile brano The Narrow Way di Gilmour, alle prese con chitarre acustiche e distorte) a sperimentazioni talvolta fini a se stesse, che “affondano” in una povertà espressiva, in rumorismi fastidiosi e divagazioni spesso inutili, confuse o pretenziose (come nel caso di Sysyphus di Wright, che ne rileva in modo impietoso la non adeguata preparazione classica, e di The Grand Vizier’s Garden Party di Mason, che sembra contenere una sorta di supplica al batterista di non cimentarsi mai più, quanto meno da solo, come compositore). Grantchester Meadows è invece espressione riuscita di uno stile pastorale, che ha avuto un breve corso nei Floyd tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70, culminando con If e Fat Old Sun, inseriti in Atom Heart Mother. Anche il testo è apprezzabile, con i suoi accenti elegiaci, che si materializzano nel rimpianto di un mondo ormai perduto. In Grantchester Meadows c’è «… il passaggio della luce solare di un pomeriggio andato, che porta i suoni di ieri in questa stanza di città …». I Pink Floyd hanno sempre criticato Ummagumma, pur essendo consapevoli del fatto che ha influenzato intere generazioni di musicisti della corrente alternativa, del filone più spiccatamente sperimentale.
Questo disco è solo un esperimento… Inoltre, penso che sia stato registrato male: la facciata “in studio” poteva essere fatta meglio… Eravamo un po’ a corto di materiale… non scrissi niente prima di entrare in studio, ma ho cominciato a fare delle cose qua e là per assemblarle. Quando ho chiamato Roger per chiedergli di scrivere le parole, mi ha risposto no. C’è anche da dire che allora eravamo molto bravi negli spettacoli “live”. Ce ne andavamo in giro per l’Europa e “vendevamo” tutto quello che volevamo… Eravamo uno dei gruppi di maggior successo, con Jimi Hendrix e con i Fleetwood Mac nella loro prima formazione — DAVID GILMOUR
Una poetica davvero originale quella dei Pink Floyd, fondata su un radicale capovolgimento del comune sentire: il reale appare spesso lontano e inafferrabile; il sogno e il delirio risultano invece familiari e di più facile comprensione. La fantasia fa smarrire, a volte, la coerenza armonica, ma consente ai nostri, al tempo stesso, di avvicinarsi alle profondità più nascoste della psiche umana. In particolare, nel brano lisergico Careful With That Axe, Eugene (inizialmente era il lato B del singolo Point Me At The Sky), inquietante e sinistro, il confine tra realtà e immaginazione è segnato dall’incubo e dal delirio, e le paure ancestrali esplodono improvvisamente in un agghiacciante fragore.
Careful With That Axe, Eugene è la musica meno sofisticata che si possa concepire. Non succedeva niente, gli accordi non cambiavano. Il titolo era l’intera canzone. C’era un urlo di mezzo e il volume si alzava. Poi tornava ad abbassarsi. Se vuoi, avevamo sviluppato nuovi modi di scrivere, a partire dal fatto che nessuno sapeva scrivere in modi normalmente accettati, ma dovevamo provarci — ROGER WATERS
Il brano, con l’urlo quasi paranoico di Waters, venne inserito dal regista Michelangelo Antonioni nella scena finale del film Zabriskie Point e continuò anche nell’anno successivo a costituire il momento centrale dei concerti dei quattro musicisti inglesi. Anche la strana copertina del vinile, che trae ispirazione da un libro di psicologia, con quella progressione tendenzialmente infinita di fotografie appese al muro, sembra voler sperimentare l’azzeramento delle facoltà mentali fino al raggiungimento della follia. Gli artisti, poi, raggiungono la massima altezza tecnica ed espressiva nel pezzo A Saucerful Of Secrets, che dopo alcune tremende scariche elettriche, inserite in un contesto spiccatamente atonale, e al termine di una avvincente “cavalcata” percussiva di Mason, dall’incedere sempre più forsennato e ossessivo, si riappropria di un desiderio di quiete, che si concretizza in una fascinosa melodia, intessuta con un evocativo suono organistico, dolce e purissimo, per poi distendersi serenamente nel corale finale, affidato all’eterea voce di Gilmour, che sembra quasi voler rinnegare le dissonanze iniziali della composizione.
L’album (che consacra definitivamente, quale degno successore di Syd Barrett alla chitarra, il talentuoso e tranquillo David Gilmour, dotato di maggiore tecnica e pulizia del suono, anche se più prevedibile nelle improvvisazioni) raggiunse il quinto posto nelle classifiche di vendita in Inghilterra e fece entrare la band, per la prima volta, nei top 100 in USA (al numero 74). Venne poi certificato disco d’oro nel febbraio 1974 e di platino nel marzo del 1994. Questo a conferma di come il grande successo di vendite di The Dark Side Of The Moon del ’73 sia stato decisivo nello spingere gli appassionati all’acquisto anche dei dischi precedenti. Con Atom Heart Mother i Pink Floyd abbraccieranno il filone del prog sinfonico, che sta conquistando la scena musicale, e lo faranno in modo magistrale, ma rivolgendosi, in modo sempre più evidente, ad un “target” di appassionati molto più vasto, curando in maniera sempre più maniacale la perfezione del suono, ma rinunciando parzialmente a quella ricerca totale e coraggiosa che ne aveva fatto uno dei maggiori esponenti dell’underground mondiale. Ummagumma costituisce, in tal senso, un autentico spartiacque, un punto di non ritorno. E’ proprio vero che Ummagumma «…è il caos! Il disordine, il genio e sregolatezza, è un suono ubriaco, limpido, che danza leggero e confuso verso una luce, verso l’infinito, verso se stesso, verso la libertà».