Pubblicato il Agosto 24th, 2016 | by Paolo Carnelli
0Massimo Discepoli (solo artist, producer)
I dieci dischi dell’isola deserta di MASSIMO DISCEPOLI, batterista, polistrumentista e compositore di Assisi, conosciuto per il suo progetto ambient/jazz/elettronico Nheap e fondatore delle etichette Acustronica e DOF (quest’ultima di prossima presentazione). Nella musica di Massimo transistor e circuiti incontrano legno e metallo in un connubio dall’equilibrio invidiabile… www.nheap.com – www.facebook.com/massimodiscepoli – www.acustronica.com
THIRD – Soft Machine (1970)
Un classico del jazz-rock progressivo, quattro lunghe tracce che ben rappresentano i fermenti musicali dell’epoca, dalla psichedelia alla fusion del Miles Davis di Bitches Brew, esperimenti con i nastri compresi. Alcuni si lamentano della relativamente bassa qualità audio di questo album, ma personalmente credo che essa contribuisca a rendere la musica ancora più straniante, come se provenisse da un’altra dimensione
MUSIC FOR 18 MUSICIANS – Steve Reich (1976)
Fin dai primissimi secondi l’impressione è quella di aver lasciato il suolo e di trovarsi sospesi in aria, spinti delicatamente verso l’alto e verso il basso dagli strumenti che crescono e diminuiscono di volume in maniera ritmica, come un organismo vivente. Note e patterns ripetuti infinite volte da un’ampia strumentazione (fra cui molti metallofoni) richiamano la musica africana e gamelan, ma senza mai suonare esplicitamente come esse, mentre altre sezioni portano alla mente brani di musica elettronica registrati nei decenni successivi
MUKU – Natsuki Tamura / Satoko Fujii (2012)
Stando alle note di copertina, in gran parte improvvisato a partire da idee alquanto essenziali se non scarne; il duo Natsuki Tamura (tromba) e Satoko Fujii (pianoforte) si muove tra territori free e di avanguardia, utilizzando spesso tecniche estese sui propri strumenti, e passando da atmosfere scure e spigolose a melodie struggenti e di grande suggestione. Una delle uscite recenti che ho apprezzato di più
THE HEADLIGHT SERENADE – Triosk (2006)
Questo trio australiano (piano, basso e batteria, oltre a varia elettronica), partendo da una background jazz, a mio avviso è riuscito a creare un suono, e forse addirittura un genere, assolutamente indefinibile: in questo album vi è di tutto, dall’ambient al minimalismo, dall’improvvisazione al post-rock, fino alla musica concreta, ma è impossibile identificare questi stili, il tutto è fuso ad un livello estremamente profondo, senza alcuna forzatura. Probabilmente uno dei migliori album degli anni ’00
AETHER – The Necks (2001)
Australiani come i Triosk, con i quali hanno in comune anche il tipo di strumentazione (piano, basso, batteria), in questo album i The Necks esprimono al meglio la loro particolarissima ricerca musicale: un unico brano di un’ora, che inizia con lunghi silenzi intervallati da note sparse, e che si sviluppa assai lentamente, aggiungendo gradualmente suoni e procedendo per micro variazioni, fino a riempire tutti gli spazi. Un ambient-jazz che trascende l’ascolto, divenendo un’esperienza
YOU MUST BELIEVE IN SPRING – Bill Evans (1981)
Il mio primo album di Bill Evans, e quello a cui sono più affezionato. Malinconico, crepuscolare, introspettivo, con un pianoforte che sembra dipingere più che suonare, insieme ad un contrabbasso e una batteria che mai si limitano al ruolo di accompagnamento, ma che interagiscono e colorano. Un quadro in musica
IN THE COURT OF THE CRIMSON KING – King Crimson (1969)
Forse è una scelta scontata, ma questo è realmente l’album dei King Crimson (e forse anche in generale) che ho ascoltato di più. Capolavoro fondamentale nella storia del rock, non posso aggiungere nulla su di esso che non sia già stato scritto o detto
INSEN – Alva Noto + Ryuichi Sakamoto (2005)
L’elettronica razionale, quasi gelida, di Alva Noto, e il pianismo estremamente dilatato e caldo di Ryuichi Sakamoto, fanno di questo disco uno dei più bei connubi fra elettronica e pianoforte che abbia mai ascoltato. I due procedono talvolta per contrasto, a velocità differenti, altre volte invece si compenetrano perfettamente, ma sempre creando un suono unico e assai personale, classico e contemporaneo al tempo stesso
HAUNT ME HAUNT ME DO IT AGAIN – Tim Hecker (2001)
Ho sempre apprezzato molto l’elettronica di Tim Hecker, soprattutto per la sua abilità nel far emergere esili e fragili melodie in mezzo ad un oceano di tessiture sonore fatte di feedback e distorsioni, talvolta piuttosto aspre (una caratteristica che ritrovo anche nei lavori di Fennesz). In alcuni brani le asperità si diradano ulteriormente, rivelando ampi paesaggi sonori di grande suggestione
NAKED CITY – John Zorn (1990)
Uno dei progetti più interessanti nella sterminata produzione di John Zorn, e quello che mi ha introdotto alla musica di questo singolare musicista. Brani cortissimi, a volte solo una manciata di secondi, in cui nello spazio di poche misure si succedono praticamente tutti i generi musicali esistenti (e forse anche non esistenti), con cambi repentini eseguiti con precisione millimetrica dai musicisti (fra i migliori improvvisatori della scena newyorchese), passando per assalti sonori di eccezionale violenza. Divertentissimo