Isole

Pubblicato il Agosto 24th, 2016 | by Paolo Carnelli

0

Marco Machera (EchoTest, solo artist)

I dieci dischi dell’isola deserta di MARCO MACHERA, bassista, cantante e polistrumentista con un obiettivo ben preciso: scrivere brani “che diano nuova linfa all’abusata forma-canzone del pop”. Tra King Crimson e Beatles, melodia e atonalità, acustica ed elettronica, Marco confeziona origami rock con la collaborazione di personaggi del calibro di Pat Mastelotto, Tony Levin e Markus Reuter. More info: www.marcomachera.com


KILLERS – Iron Maiden (1981)
La forza dirompente dei primi Iron Maiden, quelli con Paul Di’anno alla voce. A mio avviso, Killers rimane un album perfetto. Con l’innesto di Bruce Dickinson la band si evolverà e troverà una propria dimensione, ma questo disco, così compatto, suonato ottimamente e ben registrato, è il primo passo verso la conquista del mondo. Stupende anche le copertine dei primi due dischi, ad opera di Derek Riggs: notturne, misteriose, metropolitane.

DISCIPLINE – King Crimson (1981)
Discipline ha definitivamente cambiato il mio modo di intendere la musica, ha scombinato tutti i miei parametri di giudizio. Non avevo mai sentito nulla del genere prima. Al primo ascolto ho pensato: ‘ma cosa diavolo ho comprato??’. Al secondo tentativo mi si è aperto un mondo. A mio modo di vedere, un album rivoluzionario tanto quanto In The Court of the Crimson King. Imprescindibile.

SGT. PEPPER’S LONELY HEARTS CLUB BAND – The Beatles (1967)
Un album ‘progressive’, quando ancora non si parlava di rock progressivo. Dal punto di vista squisitamente musicale preferisco Abbey Road, ma sono sempre stato attratto dalle trame sonore di Sgt. Pepper e dall’immaginario di cui è impregnato. E’ uno di quei dischi che va oltre l’esperienza di ascolto: è talmente suggestivo che sembra di stare al cinema a vedere un film. Comunque, sarò banale, ma A Day in the Life vale da sola tutto l’album.

GONE TO EARTH – David Sylvian (1984)
David Sylvian in stato di grazia. La battaglia con Secrets of the Beehiveè dura, anche se nel mio lettore l’ha sempre spuntata Gone To Earth. Il connubio con Robert Fripp è vincente; tutto l’album è ispiratissimo, sia musicalmente che liricamente. L’atmosfera è tenue, sempre perfettamente bilanciata, ma ogni nota è intrisa di calore, pura poesia per le orecchie. Come sempre, Sylvian si circonda di musicisti sopraffini, a partire dal fratello, Steve Jansen, la cui traccia di batteria su Before the Bullfight è indiscutibilmente un piccolo gioiello di creatività e personalità.

L’ERA DEL CINGHIALE BIANCO – Franco Battiato (1979)
Battiato ho imparato ad apprezzarlo col tempo. Questo album, il primo disco ‘pop’ della carriera, contiene grandi momenti di musica, a partire dalla title-track (con il bellissimo violino di Giusto Pio che si intreccia ai sintetizzatori) fino all’atmosfera sognante e sospesa de Il Re Del Mondo (ri-registrata in seguito in altre versioni, nemmeno lontanamente accostabili all’originale). Tra le mie favorite anche Strade dell’Est, con la chitarra di Alberto Radius e la batteria di Tullio de Piscopo in grande spolvero.

LAUGHING STOCK – Talk Talk (1991)
Il percorso intrapreso con lo spiazzante Spirit of Eden giunge a compimento con Laughing Stock: se possibile, un album ancora più intimista e rarefatto del suo predecessore. Echi di psichedelia e jazz acustico si fondono in un quadro sonoro minimalista, talvolta acido, rumoroso; spesso meditativo. La delicatezza, la fragile bellezza della traccia d’apertura, Myrrhman, riesce a sopraffarmi ogni volta.

III – Peter Gabriel (1980)
Quando i potenti tamburi di Phil Collins danno il via a Intruder, non ce n’è per nessuno. Il brano ci catapulta nell’atmosfera inquietante e claustrofobica del terzo album solista di Peter Gabriel. I piatti della batteria sono banditi dalle registrazioni; le composizioni sono originalissimi patchwork sonori orchestrati con lucidità dall’autore, coadiuvato dal produttore Steve Lillywhite e dall’ingegnere del suono Hugh Padgham. La struggente Family Snapshot consente di tirare un po’ il fiato; il resto del disco si snoda tra percussioni poderose, chitarre trattate, i synth sofisticati di Larry Fast e suoni campionati. A stagliarsi sul tutto, la voce graffiante di Gabriel.

HATS – The Blue Nile (1989)
Un disco noir, da ascoltare in religioso silenzio a notte fonda, accompagnati da un drink. Paul Buchanan delinea con malinconia frammenti di vita, un’amara quotidianità, sostenuto da una musica brillante e moderna, elettronica ma umana, umanissima.

UNA MACCHINA CELIBE – Cabeki (2012)
Una graditissima scoperta. Questo disco mi è talmente piaciuto che ho subito contattato Andrea (aka Cabeki) per chiedergli di suonare sul mio nuovo album. Una Macchina Celibe è un lavoro raffinato, con una qualità cinematica di spessore a legare insieme tutte le tracce, brevi istantanee sonore davvero ispirate. Le composizioni sono costruite attorno all’utilizzo di vari strumenti a corda, elettrici e acustici, sapientemente dosati (e mai abusati) dall’autore. Non è l’album di un chitarrista, è piuttosto l’opera di un vero musicista.

THE SEEDS OF LOVE – Tears For Fears (1989)
Un disco spumeggiante, ricco, articolato. L’apice creativo di Orzabal e Smith, che riescono con un colpo da maestri a non rimanere intrappolati per sempre nel vortice elettronico degli anni ’80. Sbalorditiva la lista degli ospiti (su tutti spicca Phil Collins, alla batteria su Woman in Chains), ineccepibile la produzione e la qualità compositiva. Un album esente da cali di tono e punti deboli.

Tags: , , , , , , , , ,


Articolo a cura di



Lascia un commento