Pubblicato il Maggio 15th, 2022 | by Massimo Forni
0Le Orme – Il fiume (1996)
Tracklist
1. Il fiume (parte prima)
2. Madre mia
3. Prima acqua
4. Chiesa d’asfalto
5. Danza dell’acqua
6. Lungo il fiume
7. Dove l’acqua si riposa
8. Il vecchio
9. La parola
10. Grande acqua
11. Il fiume (parte seconda)
Personell
Aldo Tagliapietra (basso, chitarra acustica, voce, sitar) ● Michi Dei Rossi (batteria, percussioni, glockenspiel, gamelan) ● Francesco Sartori (pianoforte e tastiere) ● Michele Bon (organo, tastiere, synth, voce in Lungo il fiume)
Dopo un’interminabile e faticosissima attesa, nel 1996 vede finalmente la luce un nuovo album delle Orme. Si tratta di un lavoro lontano dalle strategie di marketing delle grandi case discografiche, che esce con un’etichetta minore e quindi privo di sostegni promozionali, ma che segna al tempo stesso il ritorno in grande stile del gruppo alla musica tipicamente progressiva. Quella degli artisti veneziani è una vera e propria sfida alle logiche aberranti del mercato, sostenuta solo dall’entusiasmo, dalla speranza di un nuovo ritorno “dell’età dell’oro” (il rock progressivo dei primi anni Settanta) e, soprattutto, dall’insopprimibile esigenza di fare buona musica.
IL FIUME come COLLAGE del 1971: un nuovo inizio, una rinnovata sorgente di ispirazione. Un’ulteriore e più grande prova di coraggio, un altro “salto nel vuoto”. L’opera è il frutto di un lavoro squisitamente di squadra, di equilibrata interazione. Per la prima volta partecipano alla composizione delle musiche tutti e quattro gli elementi della formazione; i testi, invece, intensi e poetici, sono firmati dal solo Aldo Tagliapietra: la fine, insomma, di un decennio circa di produzione artistica che aveva maturato frutti molto validi, ma pur sempre di chiara espressione individuale, ruotando il gruppo interamente intorno al suo leggendario fondatore e ormai quasi unico compositore.
Illuminanti sono al riguardo le parole del batterista Michi dei Rossi (uno dei tre “pilastri storici” della band) nel corso di un’intervista dell’anno successivo: “Quali sono i motivi di un cambiamento stilistico così radicale rispetto al precedente album di canzoni del 1990? È stata un’esigenza spontanea quella di ritornare al progressivo. IL FIUME è soprattutto un lavoro di gruppo, nel quale ognuno di noi ha fornito il proprio originale contributo anche a livello compositivo. È un cd nato dalla condivisione di una particolare ricchezza di ispirazioni. E poi è stato registrato così, tutto di seguito, come in un disco “live”: non accadeva da quando abbiamo inciso VENERDÌ. Ci sono diverse affinità tra IL FIUME e HARBOUR OF TEARS dei Camel (parimenti pubblicato nel ’96, n.d.r.), che è innanzitutto una suite e non una successione di canzoni: è un disco chiaramente progressivo, ha un tema di riferimento col quale si apre e si chiude, è un disco autoprodotto. C’è veramente un bel parallelismo! La differenza fondamentale è che la nostra suite ha un riferimento prevalentemente classico, mentre quella dei Camel affonda le proprie radici maggiormente nel folk”.
A Dei Rossi fa eco il collega Tagliapietra in un’altra intervista dell’epoca: “Abbiamo rifatto nostre delle cose che in qualche modo abbiamo inventato noi, non abbiamo fatto altro che ritornare sui nostri passi, sulle nostre posizioni. È un disco dove si è provato molto, lo si è prima collaudato dal vivo, poi abbiamo apportato delle modifiche, un po’ come abbiamo fatto con FELONA E SORONA. C’è stato un riprendere alcune formule e sonorità degli anni Settanta, ovviamente eseguite da musicisti che suonano meglio il proprio strumento; soprattutto Michi, tecnicamente, ha fatto dei grossi passi in avanti e quindi, anche suonando lo stesso genere rispetto a venti anni prima, già cambiano delle cose. La forma canzone l’abbiamo abbandonata per sempre”.
Sulla ricchezza dei suoni e delle parti strumentali, sul decisivo apporto tecnico di ogni musicista e sulla intensità degli interventi cantati nascono undici distinti episodi, legati tuttavia da un filo conduttore unitario. Alla storia della musica è consegnata una suite di tale spessore musicale e poetico, per la quale non è esagerato parlare di eccellente valore artistico. Il disco inizia con le suggestive note di pianoforte di Francesco Sartori, che sembrano scandire il primo scorrere dell’acqua sorgiva da una montagna silenziosa quanto misteriosa: è il solenne preludio al primo brano, Il Fiume (parte prima), costruito magnificamente intorno a un raga indiano. Il secondo pezzo, Madre mia, riecheggia col sitar di Aldo Tagliapietra un’atmosfera fortemente mistica e tipicamente orientale: è uno degli episodi più significativi dell’intera opera, anche per la profondità poetica del testo. I suoni scorrono più lentamente rispetto a quanto avviene nelle esecuzioni dal vivo (maggiormente trascinanti), in un’atmosfera però intensamente meditativa, dai suoni molto curati e raffinati. Si passa al terzo brano, interamente strumentale, come quello di apertura, Prima acqua: la linea melodica si snoda agilmente, sostenuta dalla filigrana ritmica, asimmetrica e originalissima, del batterista Michi Dei Rossi. I suoni delle tastiere di Michele Bon richiamano alla mente le tipiche sonorità del progressivo anni Settanta, aggiornate alla contemporaneità, così come i cambi di tempo e di ritmo della batteria. Il quarto episodio, Chiesa d’asfalto, esprime il disagio esistenziale dell’uomo moderno: il suo grido di angoscia si materializza in una composizione sicuramente apprezzabile, nella quale però, più delle altre, si avverte la minor grinta rispetto alle esecuzioni dal vivo del tour promozionale di quel periodo. Nel terzo brano strumentale dell’opera, Danza dell’acqua, si contrappongono due idee musicali: la prima più ritmica, perentoria, forse sofferta, e la seconda più fluida e distesa, realizzando in tal modo una dialettica espressiva che è forse uno degli esiti più interessanti della suite.
Successivo a Lungo il fiume, brano efficacemente sostenuto da una singolare ritmica strumentale e cantato da Michele Bon, si giunge a un altro pezzo strumentale: Dove l’acqua si riposa. Unico grande protagonista è Francesco Sartori, il cui pianoforte non può essere riduttivamente etichettato come epigono del prog anni Settanta, proprio per le suggestioni che rimandano ad altre storiche espressioni pianistiche. Se Il vecchio ci riporta alla miglior tradizione melodica delle Orme, La parola è un transito brevissimo, straordinario, sospeso tra pensieri ispirati e suoni rarefatti. La canzone Grande acqua, nella sua semplicità dolce e pensosa, accoglie un momento tra i più alti e toccanti, un “mantra” cantato da un coro polifonico. L’ultimo sigillo, Il Fiume (parte seconda), è la magistrale ripresa dell’inizio, metafora musicale di quell’eterno ciclo della vita, della morte e della vita ancora, di quella danza perpetua dell’universo, all’interno della quale ci hanno sospinto i suoni di questo capolavoro. Sì, un autentico capolavoro, che tanto entusiasmo ha suscitato anche all’estero (come, ad esempio, al Progfest di Los Angeles del ’97) e che tanto ha contribuito allo sviluppo del “new prog” in Italia (e non solo).
P.S. Le parole dei protagonisti sono tratte dalle due interviste (pubblicate su «Wonderous Stories» n. 9 – dicembre 1997) di Massimo Forni a Michi Dei Rossi (pag. 22) e ad Aldo Tagliapietra (pag. 26).