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Pubblicato il Settembre 9th, 2016 | by Paolo Carnelli

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Kaukasus – I (2014)

Tracklist
1. The Ending Of The Open Sky
2. Lift The Memory
3. In The Stillness Of Time
4. Starlit Motion
5. Reptilian
6. The Witness
7. The Skies Give Meaning

Etichetta Autumnsongs Records/CD

Durata 47’19”

Personell
Ketil Vestrum Einarsen (alto & soprano flutes, tenor horn, treated flute, hulusi, electric piano, saxxy, spektrals, EWI synthesizer) ● Rhys Marsh (voices, electric guitar, acoustic piano, bass guitar, Fender Rhodes, Mellotron, drum machine, pedal steel guitar) ● Mattias Olsson (drums, percussion, Mellotron, Orchestron, Optigan, Moog Taurus, VCS3 & Mother modular system, baritone guitar, bass marimba)

Dalla bruma nordica, dai fiordi che disegnano e tagliano le coste norvegesi e svedesi, tra Stoccolma, Oslo e Trondheim, ecco emergere inaspettatamente questo I, debut album targato Kaukasus, mirabile concentrato di malinconia ed energia, parto musicale abbagliante nella sua cupa e al tempo stesso poetica ricerca timbrica e melodica. Sette brani firmati da tre autentici fuoriclasse della scena prog rock scandinava: il fiatista e tastierista Ketil Vestrum Einarsen (Jaga Jazzist, Motorpsycho), il cantante e polistrumentista Rhys Marsh (The Autumn Ghost, Opium Cartel) e il batterista e percussionista Mattias Olsson (Änglagård, White Willow). Fortunatamente, però, siamo lontani anni luce da quel prog sinfonico e un po’ nostalgico che troppo spesso ha caratterizzato queste latitudini: in questo caso il coacervo è dato da ingredienti differenti, mescolati con sapienza e coraggio. Centrale nella definizione della traiettoria da seguire è indubbiamente la vocalità di Marsh, molto vicina a quella di David Sylvian, fattore che contribuisce ad amplificare i punti di contatto con la ricerca sonora portata avanti negli anni dall’ex Japan: un crocevia magico di jazz, ambient, kraut rock e progressive rock che i Kaukasus dimostrano di saper ravvivare con rara maestria. Così dietro ogni snodo armonico, dietro ogni scelta timbrica, si rivela un mondo capace di sorprendere e ammaliare l’ascoltatore. Sembra quasi impossibile che i sette brani siano il frutto di un lavoro portato avanti esclusivamente a distanza, in tre studi di registrazione separati, ma è proprio così: evidentemente la lontananza fisica è stata compensata dalla vicinanza mentale che ha accomunato i tre musicisti.

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