Pubblicato il Marzo 7th, 2021 | by Massimo Forni
0John Lennon – Imagine (1971)
Tracklist
Lato A
1. Imagine
2. Crippled Inside
3. Jealous Guy
4. It’s So Hard
5. I Don’t Want To Be A Soldier
Lato B
1. Give Me Some Truth
2. Oh My Love
3. How Do You Sleep?
4. How?
5. Oh Yoko!
Personell
John Lennon – vocals, piano, electric guitar, whistling, mouth organ ● Klaus Voormann, Steve Brendell – bass, double bass ● Alan White, Jim Keltner, Jim Gordon – drums ● Nicky Hopkins – piano, electric piano ● John Tout, Rod Linton, Ted Turner, Joey Badfinger, Tommy Badfinger – acoustic guitar ● George Harrison – dobro, slide guitar, lead guitar ● John Barham – harmonium, vibes ● King Curtis – saxophone
IMAGINE è molto più di un album di belle canzoni: è un sogno chiamato utopia. Per rendercene conto è sufficiente leggere qualche verso della celebre canzone omonima: “Immagina tutte le persone vivere per il presente… immagina che non ci siano nazioni… immagina tutte le persone che vivono la vita in pace…”
Pubblicato nel 1971, il disco ha negli anni seguenti acquisito la valenza di un vero e proprio inno idealista e pacifista, accrescendo sempre di più il suo fascino. Un grande successo, accompagnato anche da molte polemiche per via delle parole: “Immagina che non ci sia alcun paradiso… niente per cui uccidere o morire e anche nessuna religione…”. C’è chi ha accusato Lennon di comunismo o addirittura di satanismo. Anche recentemente, in un acceso e sterile dibattito che ha coinvolto anche alcuni noti esponenti politici italiani, Imagine è stato definito “l’inno dell’omologazione mondialista”. A dire il vero, lo stesso autore ebbe modo di definirlo “un brano anti-religioso, anti-nazionalista, anti-convenzionale e anti-capitalista”. Può, però, un’innocua utopia, un ingenuo vagheggiamento fare così paura? Siamo d’accordo, il Paradiso (ringraziando Dio) esiste, ma come è possibile che non vengano presi in considerazione gli spunti positivi che sono contenuti nel testo? Come è possibile non comprendere che l’estremizzazione dei concetti è funzionale alla espressione di un sogno di pace e amore planetario? Non dimentichiamo, poi, che sempre alla fine del ’71 l’ex “beatle” pubblicò il singolo Happy Xmas (War is over), un ulteriore inno di pace e uguaglianza, che si fonda sul grande evento cristiano del Natale, così da far risaltare che una provocazione strumentale non significa necessariamente ostilità alla religione.
Fatto sta che lo stesso John si autodefinisce un sognatore: “Puoi dire che sono un sognatore, ma non sono il solo…”; ma da quando ha ripreso a sognare? Sicuramente da quando si è liberato in parte del suo passato, e ne è testimone l’urlo liberatorio contenuto nella canzone Mother dell’album precedente, la quale rimanda a una terapia psicanalitica che sembra aver sciolto antichi nodi e tensioni. Ricacciati i fantasmi del passato (non a caso, IMAGINE è stato da qualche critico considerato il seguito sdolcinato di JOHN LENNON/PLASTIC ONO BAND, a motivo della sua minore crudezza) può adesso guardare più serenamente al futuro e lasciare libera l’immaginazione, pur con qualche punta di evidente autocompiacimento. Sono, d’altronde, tempi in cui i cambiamenti sono estremamente veloci anche nel campo musicale: John ha recuperato le sue radici rock-blues e porta avanti un discorso solistico con un taglio netto rispetto alla produzione artistica dei Beatles.
Sono passati solo quattro anni dalla pubblicazione del “SGT. PEPPER”: proviamo a confrontare, tanto per fare un esempio, She’s Leaving Home del ‘67, morbida, elegante e baroccheggiante, con It’s So Hard, una canzone dalle tinte blues particolarmente acida ed essenziale, con efficaci inserimenti del sax di King Curtis. In tutto il nuovo long-playing, gli arrangiamenti sono minimalisti, gli orpelli sono banditi, così come le sperimentazioni e le visioni psichedeliche, per mettere maggiormente a nudo l’anima nella sua complessità e profondità, laddove ora, nella sognante attesa della felicità, inaspettati squarci di luce sembrano lacerare l’oscurità della notte, per poi dissolversi. Si può comprendere allorquando si parla di scarno tessuto musicale, ma non è affatto condivisibile l’affermazione di chi riferisce di “sciattezza tecnica” e di “vicolo cieco artistico”, così come altre critiche della rivista Rolling Stone, che all’epoca scrisse: ”Il lavoro rimane nell’ombra di PLASTIC ONO BAND, limitandosi ad amplificare i dubbi su quale possa essere oggi il vero rapporto di John con il rock (…); contiene una sostanziale porzione di buona musica ma, se lo paragoniamo all’album precedente (di molto superiore), ci sono avvisaglie della possibilità che i suoi messaggi sembreranno presto non solo noiosi ma anche irrilevanti”.
John Lennon si avvale, al contrario, della collaborazione di valenti musicisti (tra gli altri, George Harrison, Alan White, Nicky Hopkins e Klaus Voormann), nonché degli interventi orchestrali, misurati ed eleganti, dei Flux Fiddlers (una sezione della New York Philharmonic). I toni intensi e il livello artistico sono notevoli, e una fresca ispirazione percorre per intero il disco, pur con qualche momento eccessivamente semplicistico o stucchevole (I Don’t Want To Be a Soldier e Oh Yoko!). Il vertice assoluto è costituito da Jealous Guy, una ballata romantica, nella quale una melodia levigatissima, deliziosa nella sua sognante sospensione, si staglia su un accompagnamento di pianoforte luminoso e trasparente. Non è da meno Oh My Love: in un’atmosfera ovattata e celestiale, di pura stasi, la delicatezza del sentimento e la scorrevolezza dell’armonia danno vita a una melodia tenera e lieve, di grande suggestione. L’ex “beatle” però, è anche quello del blues velenoso di How Do You Sleep? e del rock istrionico di Gimme Some Truth, dove l’aggressività convulsa e i contrasti espressivi si rifrangono in mille schegge. Un disco, senz’ombra di dubbio, di grande spessore, con il limite di qualche testo alquanto banale o eccessivamente astioso nei confronti dell’ex amico e collega Paul McCartney.
“Spero che un giorno vi unirete a noi e il mondo sarà come una cosa sola”: ci auguriamo che possa avverarsi questo sogno, ut unum sint, meglio ancora se con uno sguardo verso il cielo…