Pubblicato il Settembre 5th, 2016 | by Paolo Carnelli
0Ingranaggi della valle – In Hoc Signo (2013)
1. Introduzione
2. Cavalcata
3. Mare In Tempesta
4. Via Egnatia
5. L’Assedio Di Antiochia
6. Fuga Da Amman
7. Kairuv’an
8. Masqat
9. Jangala Mem
10. Il Vento Del Tempo
11. Finale
Etichetta Black Widow Records/CD
Durata 63’50”
Mattia Liberati (Hammond B3, Mellotron M400, Fender Rhodes Mk II, MiniMoog, MiniMoog Voyager, Korg MS20, Elka Synthex, Jen SX1000, Clavia Nord Stage Revision B) ● Flavio Gonnellini (electric and acoustic guitars, backing vocals) ● Marco Gennarini (violin, backing vocals) ● Shanti Colucci (drums, nagara, gatham tibetan bells, other percussions and Konnakol). Special guests: Marco Bruno (bass on Cavalcata), Edoardo Arrigo (bass, backing vocals on Mare In Tempesta), Simone Massimi (bass, fretless bass, upright bass), Luciano Colucci (Indian mystic speech on Jangala Mem), Fabrizio Proietti (classical guitar on Via Egnatia), Beatrice Miglietta (backing vocals on Finale), Mattias Olsson (drums and percussion on Jangala Mem, weird noises Il Vento Del Tempo), David Jackson (saxophone and flute on Finale), Angelica Sauprel Scutti (backing vocals on Finale)
In un mondo musicale apparentemente sempre più appannaggio delle vecchie glorie, gli Ingranaggi della Valle ci riportano indietro agli anni settanta, quando gruppi formati da ragazzi giovanissimi si catapultavano sul mercato discografico sfornando opere prime dal contenuto incendiario. Con un pizzico di incoscienza, il sestetto romano abbraccia infatti il tema impegnativo della prima crociata e riesce a mescolare, in poco più di sessanta minuti, l’epicità del Banco del Mutuo Soccorso e dei Metamorfosi con il jazz rock di Mahavishnu Orchestra, DFA e Deus Ex Machina: il risultato è una vorticosa cavalcata sonora in cui la chitarra di Flavio Gonnellini e il violino di Marco Gennarini guidano le truppe alla sanguinosa conquista di Gerusalemme, assistiti dall’instancabile Shanti Colucci alla batteria e sostenuti dai pregevoli impasti vintage di Mattia Liberati alle tastiere. L’album segue le vicende di un manipolo di cavalieri normanni imbarcatisi da Otranto alla volta delle terre d’oriente, la loro presa di coscienza sulla reale natura della spedizione e il loro faticoso viaggio di ritorno nelle terre d’origine dopo l’assedio della Città Santa. La parte musicale si sviluppa coerentemente con quella narrativa: un costante e inquieto crescendo che trova il suo apice nei tre splendidi brani conclusivi, in cui entrano a far parte dell’ingranaggio anche gli special guest Mattias Olsson (Anglagard) e David Jackson (Van der Graaf Generator). Chissà se durante la realizzazione dell’album la band ha mai dubitato dell’opportunità di prestare le sue note a una vicenda storica così impegnativa: volendo trovare una pecca nel lavoro del gruppo, va detto che a tratti il peso delle armature e degli stendardi sembra frenare un po’ la voglia di correre a briglie sciolte da parte dei musicisti. Ma sono solo dettagli: al di là di questo piccolo appunto, In Hoc Signo è sicuramente un’opera prima dal valore altissimo, da abbracciare e amare all’istante.