Pubblicato il Marzo 24th, 2018 | by DDG
0Field Music – Open Here (2018)
A
1. Time in Joy
2. Count it up
3. Front of House
4. Share a Pillow
5. Open Here
6. Goodbye to the Country
B
1. Checking on a Message
2. No King No Princess
3. Cameraman
4. Daylight Saving
5. Find a Way to Keep Me
Etichetta Memphis Industries
Durata 39’ 33’’
Personnel
David Brewis, Peter Brewis (lead vocals, all instruments, songs, production) ● Ele Leckie (cello) ● Chrissie Slater (viola) ● Ed Cross, Josephine Montgomery (violin) ● Liz Corney (vocals) ● Simon Dennis (trumpet, flugelhorn) ● Pete Fraser (saxophone) ● Sarah Hayes (piccolo flute, flute) ● Andrew Moore (piano) ● Andrew Lowther & The Cornshed Sisters (Cath Stephens, Jennie Brewis, Marie Nixon, Liz Corney) (choir)
La rivendicazione orgogliosa della serietà del pop dei fratelli Brewis arriva già al primo ritornello della bellissima apertura di Time in Joy: se dici di aver bisogno di profondità e cupezza, lasciami dissentire – non c’è niente di più profondo del tempo trascorso nella gioia, e quindi passane un po’ con me…
E OPEN HERE (2018) è davvero gioioso, a suo modo, trasformando in brillante e moderna materia pop le ferite visibili e lo sconcerto di chi nel Regno Unito ha visto cambiare il mondo in pochi mesi (David Brewis: Sunderland è stato il primo paese a dichiarare ufficialmente la vittoria del Brexit, uno shock – pensi che il mondo funzioni in un certo modo, e scopri che ti sbagliavi, finisci per sospettare di tutti e ti senti deluso). I testi sono sempre capaci di ironia, ma l’amarezza traspare spesso, non solo nelle due canzoni più rabbiose che io abbia mai scritto (sempre David) – il singolo Count it up (dove la declamazione dell’elenco dei privilegi inaccessibili ai migranti richiama i falsetti di Andy Partridge) e Goodbye to the Country, ma in generale nel mood dell’opera, che per contrasto suona però luminosa e accessibile, tra partiture di archi alla SKYLARKING (ancora XTC…), pastorali toccanti (Open Here), e le usuali melodie memorabili che punteggiano anche i brani quasi rock (Checking on a Message, Share a Pillow) e i momenti scherzosi (No King No Princess).
OPEN HERE era chiamato a dare seguito alla cornucopia del doppio COMMONTIME (2016), forse il capolavoro del duo insieme al folgorante TONES OF TOWN (2007), e riesce nell’impresa: nonostante sia più asciutto del predecessore, la sua tavolozza sonora rimane al solito molto ampia, con gli arrangiamenti curatissimi a dare coerenza agli usuali salti stilistici, tra groove funky e mini-suite con flauti quasi prog, che si alternano tra la citata Time in Joy e la serena chiusura orchestrale di Find a Way to Keep Me. Schierati in formazione allargata, con tanto di fiati e archi, per uno speciale trasmesso in streaming da Memphis Industries, i Field Music sembrano una versione attuale e normalizzata degli altrettanto raffinati e scostanti Steely Dan: e anche la normalità è alla fine una rivendicazione, per una band capace di metabolizzare e trasformare la canzone degli ultimi 50 anni (da Beatles e PET SOUNDS a XTC e oltre) in maniera così personale, senza volersi piegare a compromessi per riuscire a ottenere quello che sarebbe l’obiettivo più naturale per un complesso pop – vendere tanti dischi.