Pubblicato il Novembre 19th, 2017 | by Antonio De Sarno
0FATHER JOHN MISTY – Milano, Fabrique – 16/11/2017
Quando a marzo è uscito PURE COMEDY, terzo lavoro del cantautore americano Josh Tillman, in arte Father John Misty, la reazione sia della critica che del pubblico è stata pressoché unanime: un’opera letteraria quanto musicale, che esprime lo zeitgeist culturale del ventunesimo secolo con precisione chirurgica e non senza una forte dose di ironia. Si va dall’appena nata era Trump (la celestiale title track) alla dipendenza e assuefazione alla tecnologia (Ballad of a Dying Man), passando per diversi scenari post-apocalittici (soprattutto Things it Would Have Been Helpfull to Know Before The Revolution) a considerazioni metafisiche tout court (When The God of Love Returns There’ll be Hell To Pay). Insomma un compendio di tutto ciò che affligge l’uomo moderno, di cui Josh diventa l’emblematico portavoce, in questi tempi incerti. Del resto è diventato famoso l’episodio di un festival musicale del 2016, quando Josh ha fermato il suo set dopo appena 20 minuti per sfogare la sua frustrazione dopo aver visto il discorso del futuro presidente Trump al congresso del partito repubblicano. “La stupidità governa il mondo perché l’intrattenimento è stupido” e quando il pubblico lo acclama, lui insiste che sarebbe il caso di “sentirsi, invece, profondamente tristi per un po’” prima di lanciarsi in una canzone improvvisata e infine in una cover di Leonard Cohen. Il pezzo improvvisato, da lì a breve, diverrà il brano centrale di PURE COMEDY, Leaving LA.
Bene, l’attesa per una data italiana è stata spasmodica e la buona affluenza di pubblico ha confermato che anche il nostro paese ha subito il fascino dello spilungone barbuto, un look tra Jim Morrison e un giovane Mike Love, che ha avuto la coerenza di rifiutare una major per non rinunciare alla libertà creativa, nonostante anni di gavetta e dischi prodotti in casa. Per paura di perdere la sua umanità. Il destino poi ha fatto sì che il concerto si svolgesse proprio sullo stesso palco dove la sua ex-band (i Fleet Foxes) si erano esibiti la settimana prima. Ma Josh ha definitivamente lasciato alle spalle la sua esperienza di batterista del gruppo e ha ampiamente e ripetutamente dimostrato di essere uno dei migliori interpreti ed autori in circolazione. La non facile apertura di stasera è affidata alla giovanissima Weyes Blood, la quale lascia di stucco il sottoscritto con un paio di pezzi particolarmente ben congegnati, tratti dal disco del 2016 (FRON ROW SEAT TO EARTH). Insieme alla sua band riesce a collegare miracolosamente la psichedelia della West Coast alla scena di Canterbury, anche grazie alla rivisitazione della classica A Certain Kind dal primo storico album dei Soft Machine.
Father John Misty non è da meno e in due ore di puro story-telling (con tanto di ballate voce, piano e mellotron, non aggiungo altro…) ci fa ascoltare una buona parte del già citato PURE COMEDY e i brani più suggestivi dei due album precedenti, tra cui il superlativo Holy Shit e il figlio illegittimo di Paperback Writer e The Ballad of John and Yoko, ovvero la divertentissima Writing a Novel, nel cui testo appare, per un attimo Neil Young. L’unico momento non proprio esaltante, almeno per il sottoscritto, è rappresentato da True Affection, poco riuscita divagazione modernista che, ahimè, viene richiesta a gran voce dal pubblico e, nonostante non sia presente in scaletta, viene eseguita perché ‘sono venuto solo per voi’. E’ anche vero, però, che brani come il succitato e Real Love Baby, canzone non presente nei suoi album e, fondamentalmente, la parodia di un certo tipo di canzone, servono a creare un’atmosfera più rilassata in un concerto altrimenti molto meditativo e intimistico.
Un grande concerto, un evento, che segna una delle tappe conclusive della lunga tournée di PURE COMEDY iniziata ad Aprile, mentre Josh sembra aver già scritto, proprio durante questa tournée, il prossimo album. Se tutto va come pianificato, uscirà nei primi mesi del 2018. La linea ideale che parte da Woody Guthrie e Bob Dylan, per arrivare a Bruce Springsteen e pochi altri, trova un più che degno erede in FJM, voce di quell’America che aspira a qualcosa di più della grezza soddisfazione del proprio narcisismo extra-large, senza doversi genuflettere al dio intrattenimento che tutto divora e da tutto distrae.
(foto e video Antonio De Sarno)