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Pubblicato il Marzo 19th, 2018 | by Paolo Carnelli

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David Byrne – American Utopia (2018)

Tracklist

1. I Dance Like This
2. Gasoline And Dirty Sheets
3. Every Day Is A Miracle
4. Dog’s Mind
5. This Is That
6. It’s Not Dark Up Here
7. Bullet
8. Doing The Right Thing
9. Everybody’s Coming to My House
10. Here

Etichetta Nonesuch/CD

Durata 37’17”

Personell

David Byrne (guitar, vox, keyboards, pads) ● With the help from Brian Eno, Daniel Lopatin, Mauro Refosco, Sampha, Rodaidh McDonald, Brian Wolfe, Alex Epton, Jack Peñate, Airhead, Joe Williams & many others

A ben quattordici anni dal precedente GROWN BACKWARDS, David Byrne torna a firmare un album come solista. Non che in tutto questo tempo l’ex leader dei Talking Heads sia stato con le mani in mano, tra collaborazioni (Brian Eno, St. Vincent), tour e progetti vari, non ultimo un ciclo di conferenze volte a recuperare e portare all’attenzione del pubblico barlumi di positività in un’epoca dai risvolti sempre più oscuri.

In realtà anche questo AMERICAN UTOPIA ha rischiato di materializzarsi sotto forma di collaborazione, se è vero come ha raccontato lo stesso Byrne che tutto è iniziato con uno scambio di tracce di batteria tra lui e il vecchio amico Eno, scambio protrattosi per un po’ di tempo prima che Byrne prendesse il largo con le sue idee e le sue intuizioni, spingendo di fatto Eno a consegnarli le chiavi del progetto. L’assenza dell’ex Roxy Music dalla stanza dei bottoni si traduce però in una maggiore spigolosità e meccanicità degli arrangiamenti, quasi del tutto privi di quella deliziosa patina anni 70 – anche se il Mellotron è presente in diverse tracce! – che aveva benedetto l’ottimo EVERYTHING THAT HAPPENS WILL HAPPEN TODAY (2008), frutto dell’ultimo incontro tra i due artisti britannici.

La sensazione durante l’ascolto dei dieci brani che compongono AMERICAN UTOPIA è che spesso la voglia di Byrne di cimentarsi con il patchwork sonoro abbia preso il sopravvento sulla natura stessa delle composizioni, alle quali manca forse una certa consistenza e autenticità proprio dal punto di vista della scrittura: le sterzate e le buone intuizioni non mancano, ma musicalmente parlando l’effetto sorpresa si esaurisce dopo una manciata di ascolti. Se invece prendiamo in esame anche la parte testuale dell’album, le cose vanno decisamente meglio: come ha giustamente osservato Will Hermes nel suo pezzo su Rolling Stones, è proprio nelle pieghe della commistione tra musica e parole che riusciamo a ritrovare la genialità di Byrne, il suo marchio di fabbrica: quella capacità di rielaborare la quotidianità sull’orlo del paradosso, di accostare immagini apparentemente inconciliabili, di ingigantire il dettaglio fino al limite del surreale. Come in Bullet, dove il percorso inesorabile di un proiettile all’interno del suo bersaglio è descritto in parole e musica come una grande storia d’amore. Oppure nella avvolgente Doing the Right Thing, pervasa da sinistre venature hitchcockiane. Perfino la coinvolgente Everybody’s Coming To My House, scelta come singolo per il lancio dell’album, contiene al suo interno il germe dell’inquietudine: il protagonista della canzone ricorda infatti più un serial killer che un gioviale mecenate amante della compagnia.

Questo clima di incertezza si materializza anche nelle note di copertina, in cui Byrne, analizzando lo stato dell’arte del “sogno americano”, sembra replicare lo stesso percorso di consapevolezza già battuto da Roger Waters con il suo IS THIS THE LIFE WE REALLY WANT? La conclusione a cui arriva l’ex Talking Heads però è ovviamente differente: “Ogni nuovo giorno è un miracolo/Ogni nuovo giorno è una nuova bolletta da pagare/A noi non interessa ciò che è bello/Siamo come la gallina che sogna il paradiso/pieno zeppo di galli e di chicchi di mais/Dio è un gallo molto anziano/e le uova assomigliano tutte a suo figlio, Gesù”.

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