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Pubblicato il Marzo 4th, 2022 | by Massimo Forni

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Camel – A Nod and a Wink (2002)

Tracklist

1. A Nod and a Wink
2. Simple Pleasures
3. A Boy’s Life
4. Fox Hill
5. The Miller’s Tale
6. Squigely Fair
7. For Today
8. After All These Years


Personell
Andrew Latimer (guitar, flute, keyboards, lead vocals) ● Colin Bass (bass, vocals) ● Guy LeBlanc (keyboards, vocals) ● Denis Clement (drums) ● Terry Carelton (drums)


Esistono diversi modi di esprimere il linguaggio musicale nel prog. Tra questi, uno più marcatamente “drammaturgico”, con progressione del pathos e una diversificazione delle situazioni emotive più intense. La stessa copertina di A NOD AND A WINK e l’iniziale cinguettio degli uccelli ci indicano invece chiaramente la strada percorsa dai Camel con questo disco del 2002. Latimer & co seguono una strada più tesa all’“introversione”, all’analisi del dettaglio, alla serena contemplazione della natura, della ruralità. Ma non per questo si tratta di un percorso statico.

La successione delle canzoni segue l’andamento ciclico della stessa natura. È un succedersi che non turba la serenità di fondo del ricercatore musicale, dell’artista che dipinge il quadro sonoro: il gruppo partecipa nel profondo al sentimento rurale della natura. È una natura a volte luminosa, a volte crepuscolare, che si apre e si richiude su se stessa, con atmosfere diversificate: primaverili, radiose o dal sapore autunnale e malinconico. A NOD AND A WINK si immerge pienamente nel cuore della natura e le canzoni ne seguono il ciclo, con il calore estivo o il gelo dell’inverno. È un ciclo che avvolge il mistero stesso della vita umana, così come quello universale, che fa ricordare l’ascesa e il declino dell’uomo e anche di quel “compagno di viaggio” (Peter Bardens) al quale l’opera è dedicata.

Nei brani ci sono citazioni di melodie classiche e popolari: il riecheggiare dell’organetto ci riporta a un festoso clima comunitario, nel quale il mondo della ruralità non è trasferito negli aspetti di un’Arcadia fittizia, oleografica, ma è palpitante, reale e socialmente condiviso. Ci sono echi che ricordano il piacere dell’aggregazione, con sfumature di chiara matrice celtica. Sfumature che anche nell’album HARBOUR OF TEARS (del 1996) avevamo notato, ma in un contesto del tutto diverso, drammatico e struggente. Il linguaggio è tipico del rock progressivo, ma largo spazio viene accordato alla strumentazione acustica, come naturale conseguenza di una scelta di adesione profonda al mondo della natura. L’andamento melodico delle canzoni richiama ballate dal sapore rurale, dove non ci sono i picchi emotivi, né i mutamenti repentini, e nemmeno i fraseggi vertiginosi, serrati (che troviamo in altri dischi della produzione Camel), ma il dispiegarsi del paesaggio naturale e dello spirito che vi si immerge. La morbidezza atmosferica, le sottili inquietudini e i passaggi chiaroscurali sono particolarmente fascinosi e avvolgenti.

I musicisti sono fini percettori delle sfaccettature della natura, vanno all’unisono con i battiti del suo cuore: quando si aprono improvvisamente le sterminate brughiere dell’Irlanda, dal paesaggio naturale, senza intermediazione, si passa direttamente al paesaggio dell’anima e le vitalità delle due dimensioni entrano in simbiosi assoluta. Le sonorità del disco aprono la nostra immaginazione a un mondo non di boati, di eruzioni vulcaniche, ma di palpiti lievi, di tinte sfumate, mai abbaglianti. I Camel, grazie alla profonda assonanza tra la dimensione interiore ed esteriore, evitano accuratamente il “descrittivismo” e non si ha mai l’impressione dell’artificiosità nel lavoro. Ci sono dei passaggi davvero felici, situazioni emozionanti, melodie raffinate, che dal punto di vista cromatico tengono alta la composizione, ma a volte si ha la sensazione anche di una fastidiosa pigrizia e sembra prevalere, di tanto in tanto, una sorta di disimpegno.

Confrontato con la produzione degli anni ’90, che si può considerare l’espressione più compiuta della maturità artistica del gruppo, l’album evidenzia un certo affievolirsi della scintilla creativa. La band si muove su un terreno conosciuto, che fa parte del suo DNA e utilizza formule felici e collaudate, ma senza versare né troppo “sangue”, né troppo “sudore”. L’afflato della natura forse li ha tanto avviluppati, che non hanno avuto modo di esprimersi in modo più originale, magari correndo “qualche rischio”.

E ora che ben venti anni sono trascorsi, senza ancora aver visto la luce un nuovo album in studio, è lo stesso Andy Latimer a dare una risposta ai suoi fan: “Ah sì, mi fate tutti questa domanda. E non ho una risposta certa al momento. Compongo musica di continuo, ma se poi quello che scrivo porterà a un nuovo album… è tutto da verificare. Prima di tutto mi considero un narratore di storie, e dunque qualcosa succederà quando avrò una storia importante da raccontare. Se questo non succederà… allora non ci sarà nessun nuovo album. La mia vena compositiva non si è esaurita con gli anni – anzi. E mi piacerebbe far uscire altro materiale inedito. Ma solo se avrò l’opportunità di farlo come dico io”.

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