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Pubblicato il Gennaio 20th, 2017 | by Roberto Paravani

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Blackfield – Blackfield V (2017)

Tracklist
1. A Drop in the Ocean
2. Family Man
3. How Was Your Ride?
4. We’ll Never Be Apart
5. Sorrys
6. Life is an Ocean
7. Lately
8. October
9. The Jackal
10. Salt Water
11. Undercover Heart
12. Lonely Soul
13. From 44 to 48

Etichetta Kscope/CD

Durata 44’43”

Personell
Steven Wilson (vocals, guitar, keyboards, bass) ● Aviv Geffen (vocals, guitar, keyboards) ● Tomer Z (drums) ● Eran Mittelman (keyboards) ● Omri Agmon (guitar) ● Alex Moshe (vocals) ● Alan Parsons (vocals) ● Mike Garson (piano) ● Hadar Green (bass) ● London Session Orchestra (strings)

Il progetto Blackfield, ossia il gruppo nato nel 2004 dalla collaborazione tra il cantautore israeliano Aviv Geffen e l’inarrestabile Steven Wilson, sembrava ormai giunto al capolinea, visto che tutte le attenzioni dell’artista inglese apparivano ormai rivolte alla propria carriera solistica; proprio per questo, qualche mese fa, lo stesso Wilson si era fatto da parte annunciando l’uscita dalla band. Invece, un po’ a sorpresa, ecco i due sfornare un nuovo album, il quinto della serie. Per chi ancora non lo conoscesse, va detto che tra le mille avventure musicali di Wilson i Blackfield rappresentano sicuramente l’episodio “meno avventuroso”: ci troviamo da sempre di fronte ad uno stile di scrittura apparentemente molto semplice, ove la forma canzone prevale. Su questa linea si snoda anche V, composto da dodici brevi tracce, tre delle quali prodotte da un personaggio eccellente come Alan Parsons, precedute da una gradevole quanto breve ouverture orchestrale. Proprio la presenza dell’orchestra, le cui movenze discrete ma avvolgenti sono state arrangiate e dirette da Geffen, è ancora una volta l’elemento che contraddistingue maggiormente il sound del gruppo. Canzoni, ballate oniriche, rock melodico senza sconfinamenti, in bilico tra i Porcupine Tree meno lisergici e i Mercury Rev più sognanti, tra le quali spiccano la stupefacente October, impreziosita da una vibrante prestazione di Mike Garson (ricordate ALADDIN SANE o OUTSIDE di Bowie?) al piano e la conclusiva 44 to 88 ben interpretata dal Wilson più malinconico. Proprio la malinconia è il filo nero che lega tutte le tracce dell’album, ma che lascia incomprensibilmente slegata Lonely Soul, un pezzo trip hop assai ordinario (non in quanto trip hop) cantato da Alex Moshe, l’unico momento di cedimento di un lavoro ancora una volta pregevolissimo.

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