Pubblicato il Settembre 9th, 2016 | by Lorenzo Barbagli
0Anathema – Distant Satellites (2014)
1. The Lost Song, Part 1
2. The Lost Song, Part 2
3. Dusk (Dark Is Descending)
4. Ariel
5. The Lost Song, Part 3
6. Anathema
7. You’re Not Alone
8. Firelight
9. Distant Satellites
10. Take Shelter
Etichetta Kscope Records/CD
Durata 56’41”
Daniel Cavanagh (lead and backing vocals, electric and acoustic guitars, bass, keyboards, piano) ● Jamie Cavanagh (bass) ● Vincent Cavanagh (lead and backing vocals, electric and acoustic guitars, bass guitars, keyboards, programming) ● John Douglas (drums, keyboards, programming) ● Lee Douglas (lead and backing vocals) ● Daniel Cardoso (keyboards)
Non c’è nulla da fare, gli Anathema sono degli inguaribili romantici. Ce lo ricordano oggi con Distant Satellites, decimo album in studio che si assume la non semplice investitura di succedere al pressoché perfetto Weather Systems di due anni fa. Come annunciato, il gruppo prosegue il felice sodalizio con il produttore norvegese Christer-André Cederberg, che si è occupato anche del mixaggio, lasciando comunque quattro dei dieci brani alle cure di Steven Wilson. E ancora una volta, i fratelli Cavanagh si dimostrano manipolatori di melodie rock con un carico tale di pathos da spezzare il cuore: se Weather Systems era un agglomerato di emozioni di varia natura, Distant Satellites vede prevalere un uniforme romanticismo. Non pensate però a un’opera sdolcinata. L’album si apre sui passi tracciati dal precedente lavoro: lo stratagemma stilistico adottato nelle due parti di The Lost Song è infatti il medesimo di Untouchable: batteria incalzante di John Douglas, accordi reiterati di piano (al posto della chitarra acustica) e crescendo melodrammatico per la prima parte; atmosfera da ballad intensa, con la sempre brava Lee Douglas alla voce, per la seconda. I due brani seguenti, Dusk (Dark Is Descending) e Ariel, giocando ancora una volta sulla carica e i contrasti dei crescendo, sono forse i migliori dell’album. Proseguendo, ci si accorge come in questa occasione gli Anathema, mentre portano avanti l’estetica post progressive che li ha caratterizzati da due dischi a questa parte, guardino anche alla loro storia passata, sommandovi la calma apparente di A Fine Day to Exit e A Natural Disater. La seconda parte dell’album palesa ancora di più questo principio, con la tormentata elegia pianistica di Anathema, che sfoga la tensione accumulata in un lirico assolo elettrico finale. You’re Not Alone e la title-track assomigliano molto ad esperimenti per testare nuove possibilità: un po’ fuori fuoco, cercano di abbinare l’ambient con percussioni elettroniche al limite del trip-hop. Take Shelter chiude l’album in modo pacato, con piano elettrico, archi e di nuovo batteria programmata, ma con la sensazione che qualcosa è stato lasciato in sospeso. Distant Satellites forse non sarà il miglior album degli Anathema, puntando su atmosfere un po’ troppo omogenee e perdendo leggermente spessore sul finale, ma è comunque il suggello definitivo in grado di unire la forza passionale presente e passata del gruppo.