Pubblicato il Febbraio 21st, 2021 | by Lorenzo Barbagli
0Hermann Szobel – Szobel (1976)
Tracklist
1. Mr. Softee
2. The Szuite
3. Between 7 & 11
4. Transcendental Floss
5. New York City, 6 AM
Personell
Hermann Szobel (piano) ● Michael Visceglia (bass) ● Bob Goldman (drums) ● Dave Samuels (percussion, marimba, vibraphone) ● Vadim Vyadro (tenor saxophone, clarinet, flute)
La storia che circonda il primo e unico album del pianista austriaco Hermann Szobel sembra perfetta per un giallo o un thriller. Protagonista di una folgorante opera prima poi scomparso nel nulla…
Quel poco che sappiamo di questo misterioso autore ce lo ha tramandato Michael Visceglia, il bassista che fu testimone e prese parte alle sessioni di registrazione dell’unico album di Szobel, ma è abbastanza per ammantare il racconto di un’aura mitica. La premessa è folgorante: nel 1974 Szobel, appena sedicenne, si presenta all’improvviso negli studi Hit Factory di Manhattan mentre Roberta Flack è al lavoro su un album proclamando: “Mi chiamo Hermann Szobel e sono il miglior pianista che abbiate mai sentito”. Basta questa frase per tratteggiare il carattere deciso del giovane, già altezzoso e sicuro di sé. Eppure, tra lo scetticismo generale, Szobel si mise ad improvvisare al piano con la sua tecnica unica e personale lasciando tutti di stucco. Anche se il precoce talento era innegabile, si seppe poi che il misterioso ragazzo era potuto entrare facilmente negli studi poiché nipote dell’impresario musicale Bill Graham, un dettaglio non da meno, che gli permise di firmare un contratto discografico e registrare il suo primo album nel 1975.
Szobel aveva studi classici alle spalle, ma era fortemente influenzato dal jazz rock elettrico di Weather Report e Mahavishnu Orchestra e possedeva una visione molto precisa di come avrebbe voluto realizzare le proprie composizioni. In pratica ciò che aveva in mente si avvicinava molto alla concezione di musica totale alla Frank Zappa, dove per Szobel la band sarebbe stata un’estensione orchestrale per realizzare una fusione tra rock jazz d’avanguardia e spirito classico. A esporlo così a parole lo scopo appare molto ambizioso per un giovane sconosciuto, a cui tra l’altro venne affidato un ensemble costituito da musicisti esperti, ma basta ascoltare il risultato in SZOBEL per rendersi conto che la fiducia in lui fu ben riposta. SZOBEL venne pubblicato dalla Arista Records nel 1976, diventando un disco di culto, conosciuto da pochi seguaci. E anche la successiva ristampa in CD, realizzata dall’etichetta Laser’s Edge nel 2012, non ne ha cambiato molto la sorte nel farlo rimanere un’opera esoterica.
La prima traccia, Mr. Softee viene introdotta da qualche accordo di piano, un vibrante sax e un basso avvolgente, l’atmosfera rarefatta è simile ai rituali occulti dei Magma, ma il richiamo di tutta la band è preannunciato da improvvisi e frenetici spasmi zappiani che puntualmente ci trasportano in un universo jazz funk oscuro in stile zeuhl. I dodici minuti di The Szuite sono il manifesto espressivo di Szobel: il brano pulsa di variazioni che toccano il free jazz, il Rock in Opposition e il post bop mentre viaggiano su frequenze avant-garde, con Samuels che rende impalpabili le vibrazioni dei suoi metallofoni e nel frattempo Vyadro fraseggia note a cascata con il sax. Lo stile di Szobel è instabile e schizofrenico, tra calma apparente e improvvisazioni infuocate, fondendo nel proprio stile le progressioni di Keith Emerson e le dissonanze virtuose di Keith Tippett. Anche Between 7 & 11 si frattura tra umori contrastanti, alternando momenti di distensione impressionista ad altri convulsi e arditi armonicamente. Trascendetal Floss è nervosa e nevrotica, come se il virtuosismo di Szobel non fosse puro sfoggio di abilità, ma un modo per esternare la propria urgenza creativa. Infine New York City, 6 AM è una traccia nebulosa e tensiva, che si dipana su un reiterato e lento groove di basso, il quale funge da collante per il flusso di coscienza espresso dagli altri strumenti.
La cronaca del dopo SZOBEL ci descrive un artista sempre più intransigente e determinato a seguire le proprie idee, senza compromessi o intromissioni esterne. I preziosi consigli elargiti al ragazzo dal saggio Clive Davis, presidente della Arista Records, sull’avere pazienza e fare un passo alla volta, caddero inascoltati e accolti con arroganza. Szobel voleva tutto e subito: esibirsi in sale da concerto prestigiose e non in piccoli club, aprire i concerti della Mahavishnu Orchestra alla Carnegie Hall e suonare esclusivamente sul proprio piano Baldwin, i cui costi di trasporto avrebbero inevitabilmente gravato sull’organizzazione logistica. In tutto questo caos la Arista, con riluttanza, permise a Szobel di iniziare a produrre il suo secondo album, impresa che non fu mai portata a termine. La storia di Visceglia si interrompe infatti nel momento in cui lui abbandonò le sessioni di registrazione a causa di un animoso diverbio col giovane pianista a proposito dell’arrangiamento di un brano. Szobel di lì a poco lasciò il proprio album incompiuto, fece ritorno in Europa e non se ne seppe più nulla.
Quel poco che ci è dato sapere riguarda voci o notizie confuse e contrastanti sulla sua sorte che lo descrivono prima come mimo girovago, poi come un recluso indigente ed infine come barbone per le strade di Gerusalemme. L’unica prova concreta del suo passaggio nel mondo della musica rimarrà un’opera prima folgorante e audace, come il suo autore.