Pubblicato il Novembre 22nd, 2020 | by DDG
0Field Music – Making a New World (2020)
1. Sound Ranging
2. Silence / After The Fact
3. Coffee Or Wine
4. Best Kept Garden
5. I Thought You Were Something Else
6. Between Nations
7. A Change Of Heir
8. Do You Read Me?
9. From A Dream, Into My Arms
10. Beyond That Of Courtesy
11. A Shot To The Arm
12. A Common Language Pt.1
13. A Common Language Pt.2
14. Nikon Pt.1
15. Nikon Pt.2
16. If The Wind Blows Towards The Hospital
17. Only In A Man’s World
18. Money Is A Memory
19. An Independent State
Etichetta: Memphis Industries
Durata 42’ 21’’
Personnel
Peter Brewis (vocals , guitar, programming) ● David Brewis (vocals, drums, programming) ● Liz Corney (vocals, piano, organ) ● Andrew Lowther (bass) ● Kev Dosdale (guitar)
I Field Music degli iperattivi fratelli Brewis tornano a meno di due anni dal riuscitissimo OPEN HERE: nel frattempo non sono chiaramente rimasti con le mani in mano – David ha fatto uscire un ottimo concept album pop sui tempi di Trump, 45, a firma School of Language, mentre Peter ha inaugurato la collaborazione con la cantautrice Sarah Hayes, incidendo quel YOU TELL ME già trattato su queste pagine.
Da diversi anni, anche le opere collaterali o concettualmente minori della famiglia Brewis beneficiano di uno stato di grazia che testimonia della maturità cui è arrivata la loro ricerca: la loro formula pop coniuga ormai efficacemente XTC, Brian Wilson (o magari la sua sorella inglese Judee Sill, che anche Andy Partridge cita come ispirazione), i Genesis di Peter Gabriel e il math pop. MAKING A NEW WORLD non fa eccezione, tanto da essere salutato dalla critica come il disco più riuscito della band, a dispetto dell’origine anomala – una suite dedicata al centenario dell’armistizio della prima guerra mondiale, commissionata nel 2018 dall’Imperial War Museum ed eseguita dal vivo nel 2019.
Nel passaggio dallo show al disco, l’omaggio storico su commissione diventa un concept album, che torna spesso alle miniature pastorali di PLUMB (2012), che echeggiavano PET SOUNDS (o i passaggi quieti di Supper’s Ready): ma il coinvolgimento di un vero gruppo negli arrangiamenti, lo stesso che da qualche anno integra il duo dal vivo, reso necessario anche dal fine originario del progetto, dà forza ulteriore ai passaggi più apertamente pop (come il potenziale singolo Best Kept Garden). Il risultato finale è notevole, e accresce la meraviglia per la capacità da origamisti dei fratelli Brewis: la costruzione di melodie memorabili e strutture solide si regge su ritmi irregolari, passaggi armonici improbabili e dinamiche ricche di vuoti, con un lavoro fatto sotto voce e per sottrazione, in tempi di clamore e accumulo.
I diciannove brevi movimenti della suite scorrono rapidi, e i frammenti di storie della ricostruzione post-bellica inglese si compongono in un racconto che rende avvincente un tema anomalo, facendo ben trasparire in filigrana anche ansie molto più attuali: e l’artificio da cui parte la narrazione, l’immagine delle onde sonore delle esplosioni che nel 1918 venivano tracciate dall’intelligence bellica per localizzare l’artiglieria nemica, diventa una metafora efficace anche per il disco, che riesce a far arrivare fino a noi l’eco di quelle vibrazioni remote.