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Pubblicato il Giugno 19th, 2019 | by Lorenzo Barbagli

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Thank You Scientist – Terraformer (2019)

Tracklist

1. Wrinkle (2:32)
2. FXMLDR (7:56)
3. Swarm (6:25)
4. Son of a Serpent (8:06)
5. Birdwatching (3:41)
6. Everyday Ghosts (10:03)
7. Chromology (9:49)
8. Geronimo (6:15)
9. Life of Vermin (8:11)
10. Shatner’s Lament (1:13)
11. Anchor (9:56)
12. New Moon (2:01)
13. Terraformer (8:07)

Etichetta Evil Ink Records/CD

Durata 84’40”

Personell

Salvatore Marrano (vocals) ● Tom Monda (fretted & fretless guitars, acoustic guitar, sitar, shamisen, vocals, string arrangements, producer) ● Ben Karas (violin, 5-string electric violin, viola) ● Joe Gullas (trumpet, flugelhorn) ● Sam Greenfield (saxophone) ● Cody McCorry (bass, Theremin, saw) ● Joe Fadem (drums)

Che cosa ti puoi inventare ancora per stupire il pubblico quando sei una progressive rock band con deviazioni funk fusion, composta da sette elementi che, con due lavori all’attivo, ha già prodotto un repertorio densissimo, complesso e accessibile in egual misura? La risposta dei Thank You Scientist è questo TERRAFORMER: un doppio album di 84 minuti che, alla già ricca trama di strumenti di cui la band si fregia, aggiunge una sezione di archi, strumenti etnici (shamisen, bouzouki, guzheng, erhu) e per la prima volta tastiere elettroniche, in uno scontro tra tradizione e futurismo. Questo, in poche lacunose parole, il sunto che può introdurre alla terza debordante opera del settetto del New Jersey. TERRAFORMER è anche il primo lavoro che vede la line-up della band quasi completamente rinnovata: dei membri originali rimangono solo il fondatore e leader Tom Monda e il frontman Salvatore Marrano. La ricetta sonora che i Thank You Scientist portano avanti sin dal primo album è una delle più complesse, avventurose e pretenziose del panorama musicale contemporaneo, condensando una miriade di stili e sovrastrutture strumentali in brani che scambiano spesso la sperimentazione con l’accessibilità. Infatti, in questa selva di virtuosismi e architetture enfatiche, il gruppo rimane focalizzato sulla forza della melodia, parte della quale va sicuramente attribuita alla presenza vocale di Marrano, e ai groove infettati di soul, funk, latin e rock creati dai contrappunti di fiati e chitarra. La paura principale che poteva far sorgere TERRAFORMER era il rischio di risultare indigesto, proprio a causa del carattere straripante della musica del gruppo posta in un contesto da album doppio. Invece, come dei bravi scienziati, Monda e compagni hanno contenuto la natura di un materiale altamente instabile, musicalmente parlando.

Per quanto possa essere paradossale i Thank You Scientist riescono in un’impresa forse senza precedenti e assolutamente impensabile nella prospettiva di tali latitudini musicali, ovvero firmare il loro album più articolato musicalmente e allo stesso tempo più accessibile per orecchie non abituate a tali vertigini.  Il primo CD è circoscritto tra due tracce strumentali che sviscerano una quantità di idee – sia nella breve (Wrinkle) che nella lunga distanza (Chromology) – di jazz zappiano e hardcore fusion orchestrale da rimanere storditi. In mezzo si trovano FXMLDR, Swarm e Son of a Serpent, corrispondenti in pieno a quella caratteristica appena descritta di brani avvincenti e orecchiabili, intrisi di assoli fusion e break progressivi. Come accennato al violino di Karas si aggiungono viola, violoncello e altri due violini utilizzati per dare corpo ai crescendo negli sviluppi di Anchor e Life of Vermin facenti parte del secondo CD nel quale si trovano brani più aderenti agli stratagemmi compositivi utilizzati nei primi due album. Ma anche escursioni nel pop prog piuttosto disimpegnato (per loro) di Geronimo e nel metal matematico della title-track, che come per il primo CD aprono e chiudono in modo antitetico la seconda tranche dell’album.

TERRAFORMER è un lavoro gigantesco nella forma e nella sostanza, però non è esagerato, eccessivo o ampolloso, perché i Thank You Scientist vestono questa musica come fosse un completo elegante e naturale, rigettando la sensazione che possa invece trattarsi di un esercizio di stile forzato.

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