Pubblicato il Agosto 29th, 2016 | by Lorenzo Barbagli
0BENT KNEE – Milano, La Casa di Alex, 31/07/2016
Per i bostoniani Bent Knee la prima volta in Europa per un tour ha coinciso fortunatamente anche con la loro prima e unica data italiana, grazie al provvido intervento di Massimo Cataldi che è riuscito ad intercettarli tra una data tedesca e una svizzera e li ha portati ad esibirsi a Milano a La Casa di Alex. Nonostante la concomitanza di un weekend estivo che segnava il primo esodo vacanziero, il locale si è riempito facilmente a dimostrazione che i Bent Knee si stanno facendo largo a grandi passi nel cuore degli appassionati di progressive rock, anche se la loro proposta vanta un’area più ampia di influenze che comunemente viene associata all’art rock .
Il contrasto che risalta nello stato d’animo vedendo dal vivo i sei componenti è quanto appaiano giovani (molto più che nelle foto) e umili e, allo steso tempo, con quanta autorevolezza e carisma riescano ad impossessarsi del palcoscenico, come dei consumati musicisti e performer, un’aura che si intensifica mano a mano che il concerto prosegue. A prescindere dal luogo, uno show dei Bent Knee non necessita di orpelli visivi, effetti speciali o chissà quale altra diavoleria extramusicale per catturare l’attenzione del pubblico, per loro è sufficiente unicamente la musica al fine di trasmettere emozioni. Courtney Swain tiene fede alla propria reputazione, riproducendo senza incrinature i prodigi vocali che abbiamo conosciuto dagli album in studio, dall’altra parte Jessica Kion al basso, Ben Levin alla chitarra e Gavin Wallace-Ailsworth alla batteria, creano un scoppiettante e gioiosa sezione ritmico-melodica. Lo loro fisicità è compensata, nell’altro lato del palco, dall’imperturbabile Vince Welch – che siede nelle retrovie di fronte al suo computer nel ruolo di architetto e regista sonoro – e dal violinista Chris Baum che appaiono i più immersi e concentrati nel proprio compito. La scaletta pesca dagli ultimi due album Shiny Eyed Babies e Say So – Being Human, In God We Trust, Black Tar Water, Leaked Water, Eve, Counselor, Hands Up, Battle Creek, The Things You Love, eseguiti quasi tutti senza senza sosta, collegati l’uno all’altro -, per poi seguire, a grande richiesta del caloroso pubblico, con i due bis di Way Too Long e Good Girl. Ma la vera sorpresa è il regalo di addirittura sei brani inediti che andranno a finire nel prossimo album. Difficile addentrarsi in una descrizione con un solo ascolto, ma l’impressione è che i Bent Knee, bilanciando i pezzi in un mix di accessibilità e sperimentazione, abbiano spinto le loro possibilità ancora più avanti in entrambi gli aspetti.
Come mi era capitato di rimarcare nella recensione di Say So, questo non è un gruppo che punta sulle capacità individuali, ma che valorizza ogni contrappunto nel sound d’insieme. La complicità, l’interazione e l’affiatamento tra i membri fanno dei Bent Knee un corpo compatto impostato su dinamiche e arrangiamenti originali.