Pubblicato il Aprile 23rd, 2018 | by Simone Ercole
0Toto – Toto XIV (2015)
1. Running Out Of Time
2. Burn
3. Holy War
4. 21st Century Blues
5. Orphan
6. Unknown Soldier (For Jeffrey)
7. The Little Things
8. Chinatown
9. All The Tears That Shine
10. Fortune
11. Great Expectations
Durata 55’59”
Steve Lukather (guitars, vocals, bass guitar on tracks 5, 6, 11) ● Joseph Williams (lead vocals, keyboards on tracks 5 and 11, park bench on track 2) ● David Paich (piano, organ, other keyboards, vocals, upright bass on track 9) ● Steve Porcaro (synths, keyboards on track 7, lead vocals on track 7) ● Keith Carlock (drums, background vocals on track 2) ● David Hungate (bass guitar on tracks 3, 4, 7, 8) ● Tal Wilkenfield (bass guitar on tracks 9,10) ● Leland Sklar (bass guitar on track 2) ● Tim Lefebvre (bass guitar on track 1) ● Lenny Castro (percussion on tracks 2,3, 5-10) ● Martin Tillman (cello on tracks 6, 7, 11) ● C. J. Vanston Additional synths on tracks 1-6, 10, 11, background vocals on track 2, production) ● Michal McDonald (background vocals on track 6, 8, 10) ● Amy Keys (background vocals on tracks 4, 6, 8, 10) ● Mabvuto Carpenter (background vocals on tracks 5, 11) ● Jamie Savko (background vocals on tracks 1, 2, 11) ● Emma Williams (background vocals on track 2) ● Tom Scott (saxophone & horn arrangement on track 4, saxophone on track 8)
A ben nove anni dall’ottimo FALLING IN BETWEEN, i Toto ci regalano un altro lavoro in studio, ben diverso dal precedente. Nel frattempo c’è stato lo scioglimento del 2008, la riformazione del 2010 a supporto dell’allora malato Mike Porcaro, allontanando Bobby Kimball e richiamando in formazione David Paich, Steve Porcaro e Joseph Williams, anni di ottimi tour, il successivo abbandono di Simon Phillips… Insomma, tante cose sono successe, tra cui la triste notizia della morte di Mike Porcaro proprio poco prima della pubblicazione di questo album e così ci ritroviamo dei Toto molto diversi a licenziare un disco in cui ben pochi ormai speravano, il cui titolo è un ovvio richiamo a quel gioiellino pop che fu TOTO IV: un po’ a dire “siamo tornati in piena forma”.
Fin dall’inizio, con Running Out Of Time, sembra quasi che si voglia mettere in chiaro cosa ci attende: un’ottima combinazione di musica tecnicamente eccelsa e melodie godibilissime. Riff geniale, ritornello coinvolgente e memorabile: gli ingredienti ci sono tutti. Discorso simile per le successive Burn e Holy War, tutti brani che rientrano perfettamente nello stile classico dei Toto senza però assomigliare spudoratamente a nulla di già fatto precedentemente. Insomma, un trittico iniziale di una qualità ed equilibrio come non si sentiva da tanto. L’album cala un po’ con 21st Century Blues, ma Orphan è uno dei brani più riusciti dell’album, ancora migliore in versione live, notevolmente estesa nel finale e con un ottimo assolo dell’impeccabile Lukather. Certo, sentirla sfumare così qui spezza un po’ il cuore, ma ciò non toglie che sia un gran bel brano (ascoltate cosa fa Keith Carlock alla batteria nei pre-ritornelli ad esempio). Unknown Soldier (For Jeffrey) ci riporta il Lukather delle ballate acustiche con una bella dedica a Jeff Porcaro, forse giusto un po’ eccessiva nell’arrangiamento, ma apprezzabile. C’è anche il grande ritorno di Steve Porcaro con la delicata The Little Things: era addirittura dal 1982 che Steve non cantava un brano da solo (appunto, da TOTO IV). Chinatown invece pare essere un brano risalente ai primissimi tempi dei Toto, qui ampliato e rifinito in un bel pezzo pieno di stacchi e cambi. Probabilmente molti fan di questa band hanno avuto avuto un tuffo al cuore nella sezione più funk di questo brano, che sembra davvero essere uscito dal primo album. Bella l’alternanza alla voce di Paich, Lukather e Williams. L’album sembra calare un po’ con All The Tears That Shine e Fortune, ma solo perché il resto è di una così alta qualità che quasi tutto sfigurerebbe al confronto. In realtà sono due ottimi brani: il primo molto delicato, un po’ sullo stile di Human Nature di Michael Jackson (confronto che non dovrebbe stupire se si conosce la genesi di questo brano), il secondo più sul loro tipico stile rock-funk, con un Joseph Williams in ottima forma. A concludere c’è quello che probabilmente è il miglior pezzo dell’album, se non uno dei loro migliori in assoluto. Great Expectations racchiude perfettamente tutto ciò che sono i Toto a questo punto. Paich, Williams e Lukather si alternano di nuovo alle voci, in un brano che strizza l’occhio al progressive saltando tra sezioni molto diverse tra loro, tempi dispari, falsi finali… Ed in tutto questo ecco anche un ritornello efficace e memorabile. Un brano perfetto dalla prima all’ultima nota, che da solo sarebbe stato in grado di giustificare l’intero album.
Insomma, TOTO XIV è a mio parere uno dei loro migliori lavori in assoluto. Riavere a bordo Joseph Williams è un plus non da poco (sia alla luce della sua ottima ripresa dopo la triste fine del 1988, sia visto lo stato attuale di Bobby Kimball), ed è quindi un po’ un peccato notare che in questo album canti relativamente poco come solista. Evidentemente si è cercato di dare più un senso di lavoro di gruppo, e quindi si è preferito far cantare tutti in modo equilibrato. Keith Carlock alla batteria fa un lavoro eccelso pur non essendo Simon Phillips (e neanche Shannon Forest, attuale batterista in tour, stilisticamente molto simile al rimpianto Jeff Porcaro) e in generale il suono è dominato da quintali di chitarre e tastiere, a testimonianza del ritrovato e preziosissimo contributo di Steve Porcaro negli arrangiamenti. In ultimo, è interessante notare il ritorno, seppur in pochi brani, di David Hungate al basso, membro dei Toto nei primi quattro album. Quindi un album perfetto? Quasi, ma non proprio. Potrebbe essere benissimo colpa delle mie orecchie, ma ho come l’impressione che qualcosa sia andato storto nella fase di mastering. La sensazione è che tutto sia stato spinto al limite, secondo la classica filosofia della “loudness war”. Se questo aspetto nei precedenti album era mantenuto entro limiti accettabili, in TOTO XIV non è rarissimo notare come il tutto sia portato al limite della distorsione, e sono quasi sicuro che effettivamente la si raggiunga durante Burn e Unknown Soldier. Il che è un gran peccato: sarebbe bello un giorno poter ascoltare le tracce non masterizzate, anche solo per curiosità. Ma è anche vero che davanti ad un album pieno di brani di così ottima qualità, si può anche chiudere un occhio e godersi un gran lavoro da parte di alcuni tra i migliori musicisti in circolazione.