Pubblicato il Ottobre 23rd, 2017 | by Lorenzo Barbagli
0The Knells – Knells II (2017)
1.First Song
2.Interlude I
3.Could You Would You
4.Sub Rosa
5.Coda
6.Bargaining
7.Final Breath
8.Poltergeist
9.Interlude II
10.Immolation
Etichetta Still Sound Music/CD
Durata 43’04”
Nina Berman (soprano) ● Charlotte Mundy (mezzo-soprano) ● Blythe Gaissert (contralto) ● Paul Orbell (guitar) ● Andrew McKenna Lee (guitar) ● Jude Traxler (percussion, Rhodes, electronics) ● Jeff Gretz (drums) ● Joseph Higgins (bass)
Nel 2013 il primo album dei The Knells fu una folgorazione: il gruppo si presentò come un atipico ensemble tra il Rock In Opposition e il neoclassico, che affiancava alla caratteristica formazione rock con chitarra, batteria e basso, tre cantanti con impostazione operistica e una sezione di archi. Il risultato era un sound unico che fondeva avant-garde, psichedelia, minimalismo e progressive rock. La formula perfettamente messa a fuoco su THE KNELLS non era priva di rischi nel ripetersi e il chitarrista e compositore Andrew McKenna Lee, autore principale e leader del gruppo, deve essersi posto di fronte a questo scoglio da superare affrontando la stesura del secondo capitolo della sua band. KNELLS II, si adotta quindi un’impostazione differente rispetto al suo predecessore, sia formalmente che stilisticamente. L’album è presentato di nuovo come un concept che questa volta prende le mosse da sentimenti fortemente influenzati dal lutto per la morte del padre di McKenna Lee e da qui riparte con tematiche che esprimono e augurano positività verso il futuro, usando la catarsi creativa come mezzo per lenire il dolore e ritrovare la pace con se stessi. Quindi, come era accaduto per il suo predecessore, anche in questo caso non ci troviamo di fronte ad un vero e proprio racconto che tiene le fila, ma ad una disamina delle nostre sensazioni più profonde.
Forse, maggiormente che nel primo album, la chitarra di McKenna Lee è qui più che mai presente e protagonista in ogni suo mutamento di sound: come quando, tra echi e riverberi, si produce in arpeggi extraterreni, siderali note prolungate e loop elettrici che pennellano spirali e paesaggi astratti, aiutata anche dalla seconda chitarra di Paul Orbell. La preponderanza delle sei corde è pressoché naturale vista la scelta di non ricorrere ad una sezione di archi e limitare, o porre in secondo piano, gli interventi di tastiere. Il cantato trio di Berman, Mundy e Gaissert è a tratti uniforme e a tratti celestiale, distaccandosi notevolmente da quell’impressione alla Hatfield and the North del primo album, per assumere un’identità propria, come se ad interpretare le melodie fosse un’unica cantante dalla voce stratificata, per quanto la resa emerge compatta. L’impasto strumentale e vocale rimane quindi di grande impatto e alquanto originale nel panorama progressivo, con l’ulteriore pregio di non sfociare mai nelle stucchevoli aree sinfoniche. In questo modo i The Knells riescono a ritagliarsi nel genere una collocazione al di fuori di ogni confine predefinito. Anche se i brani sono divisi in tracce, la struttura di KNELLS II può essere letta come composta da piccole suite: ad esempio First Song confluisce nelle spirali di Interlude I e Could You Would You, mentre un altro gruppo è formato dalle peregrinazioni psichedeliche di chitarra tra Coda, Bargaining e Final Breath. Separate nel loro nucleo, comunque, queste tracce mostrano una direzione ben più diretta e asciutta, nella stessa prospettiva imboccata da Sub Rosa, dato che i suoi elementi più accessibili traghettano l’album verso orizzonti art rock, piuttosto che strettamente progressivi. Con tale consapevolezza non stupisce neanche l’insolita virata nel blues elettronico/futurista di Poltergeist. Con KNELLS II McKenna Lee riesce quindi nel duplice intento di rinnovare la sua proposta musicale e allo stesso tempo renderla accessibile. Non c’è dubbio che a questo punto il terzo capitolo costituirà una nuova sfida.