Pubblicato il Dicembre 19th, 2018 | by Paolo Formichetti
0Echolyn – America e nuvole
Dopo la “caduta degli Dei” negli anni ’70, la tanto auspicata rinascita del progressive del decennio successivo trainata dai Marillion di Fish, si rivela un fuoco di paglia sia per vendite che per visibilità mediatica. Nel periodo tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ‘90 lo stato di salute di questo genere musicale non è quindi rassicurante: mentre il new prog perde la sua spinta, le uniche credibili novità arrivano dalle lande scandinave tramite i suoni nebbiosi e gelidi di gruppi come Änglagård, Anekdoten e Landberk. Ma il prog è di fatto ormai relegato nei sotterranei del rock, ben lontano dai vertici delle classifiche di vendita. In questo contesto, gli appassionati iniziano a sentir parlare – soprattutto tramite il costante tam-tam delle fanzine specializzate – di una promettentissima band della Pennsylvania chiamata Echolyn…
In questa guida all’ascolto verranno presi in esame gli album in studio, raccolte comprese, escludendo i bootleg ufficiali che hanno avuto una distribuzione parziale e legata al fanclub del gruppo.
ECHOLYN (autoproduzione, 1991) – In tempi in cui Ebay, Discogs e Amazon erano di là da venire, non furono molti i fortunati che riuscirono a recuperare una copia del disco di esordio… ma chi ci riuscì fu fortunato per davvero. Una strana copertina, rappresentante quello che sembra il contenuto di una soffitta svuotata abbandonato su un prato, riportava solo l’enigmatico nome della band e il dischetto che vi era contenuto conteneva un mondo di vere e proprie meraviglie musicali. La miscela sonora era a dir poco inebriante: echi dei migliori Yes, cambi di tempo, cori e melodie a più voci in stile Gentle Giant, strumentazione allargata con chitarre acustiche, pianoforte ed archi, il tutto sapientemente miscelato con timbriche tastieristiche moderne, un approccio alla melodia tipicamente americano e un piglio gioioso abbastanza inedito per il genere. Persino l’assenza delle chilometriche mega-suite caratteristiche del progressive non stonava in un lavoro di freschezza e maturità incredibili, a maggior ragione considerando che si trattava dell’esordio di una giovanissima band. Brani come Meaning And The Moment, The Velveteen Rabbit o la mini-suite Shades brillano tutt’oggi come autentiche gemme nel repertorio del gruppo e rendono questo disco un vero e proprio must. Ricorda il tastierista Chris Buzby: “Comporre tutti insieme un pezzo come Shades ci ha dato una grande consapevolezza delle nostre possibilità”. Il disco è fuori stampa (la sua quotazione sfiora i cento euro) ed attualmente è disponibile solo all’interno del triplo box antologico A LITTLE NONSENSE: NOW AND THEN.
SUFFOCATING THE BLOOM (autoproduzione, 1992) – A solo un anno di distanza da un simile clamoroso esordio, gli Echolyn si ripetono e sfornano un vero e proprio capolavoro. Sempre autoprodotto, SUFFOCATING THE BLOOM si presenta racchiuso in una copertina semplice ma decisamente riuscita ancorché enigmatica, e contiene canzoni brevi più una suite di quasi mezz’ora, concentrandosi, dal punto di vista lirico, sul difficile passaggio dall’adolescenza alla maturità. Le influenze musicali di cui sopra sono ancora una volta presenti e talmente bene amalgamate tra loro che già si può parlare di vero e proprio “stile-Echolyn” in cui il virtuosismo e l’affiatamento dei musicisti vengono messi al servizio dell’arrangiamento e della costruzione dei brani. A tal proposito Buzby racconta: “SUFFOCATING THE BLOOM è l’album che ci ha permesso di sbocciare e diventare una vera band, ovvero la somma di cinque diverse componenti”. Il lavoro è coeso, ritmicamente scoppiettante e dannatamente divertente da ascoltare anche nei suoi momenti malinconici; nonostante duri oltre 70 minuti riesce a non annoiare mai l’ascoltatore. Brani come A Little Nonsense, 21, Memoirs From Between, Winterthru, One Voice sono di una bellezza disarmante e sono diventati classici della band tanto che, paradossalmente, anche senza la invero riuscitissima Suite For Everyman il disco sarebbe stato ugualmente di altissimo livello. L’album ebbe un enorme impatto in ambito progressive tanto da riuscire a “sconfinare” al di fuori del genere arrivando a destare l’interesse nientemeno che di una major come la Sony. Il disco è disponibile in ristampa con una copertina che riprende, modificandola nella realizzazione, quella originale.
…AND EVERY BLOSSOM (autoproduzione, 1995) – Non molto tempo dopo l’uscita di SUFFOCATING THE BLOOM gli Echolyn, in evidente stato di fervore creativo, pubblicano questo EP contenente quattro canzoni realizzate in acustico, con il basso a rappresentare l’unico strumento elettrico. Sono quattro piccoli gioiellini dedicati alla primavera (rappresentata iconograficamente dal disegno infantile che spicca in copertina), fatti di respiri, colori, sfumature, dolcezza, per la cui registrazione la band viene affiancata da un’orchestra da camera che contribuisce ad arricchire ulteriormente la tavolozza espressiva. Un piccolo capolavoro di delicatezza e ispirazione, raffinato e poetico antipasto per le meraviglie musicali che sarebbero arrivate di lì a poco. Per il chitarrista e cantante Brett Kull questo lavoro rappresenta addirittura uno dei momenti migliori dell’intera discografia del gruppo: “Qualche anno fa, quando l’ho remixato, sono rimasto colpito dalla qualità della registrazione. Probabilmente era il momento in cui la band aveva dentro di sé più energia e positività.”. Il disco è fuori stampa ed attualmente è disponibile all’interno del triplo box antologico A LITTLE NONSENSE: NOW AND THEN o in digital download su Bandcamp.
AS THE WORLD (Sony, 1995) – Dopo anni di prove, registrazioni, concerti e un’indefessa opera di auto-promozione (che arriva a comprendere volantinaggio e attacchinaggio dei manifesti dei propri concerti), l’indomabile impegno e la dedizione che i membri del gruppo infondono in tutte le attività concernenti la band trova alfine il giusto riconoscimento, complice il “polverone” alzato in ambito prog dall’album precedente. Gli Echolyn diventano pertanto la prima prog band dai tempi dei Marillion a essere messa sotto contratto da una major discografica, in questo caso niente meno che la Sony, con la quale firmano un accordo per la realizzazione di ben sette album. Galvanizzata e forte delle risorse finanziarie messe a disposizione dalla casa discografica, la premiata ditta Kull, Buzby & co, si ritrova a registrare il nuovo disco in uno studio super-professionale a Nashville senza aver subito, incredibile a dirsi, nessun tipo di pressione ma godendo al contrario di una totale libertà creativa. A tale prova di fiducia gli Echolyn, già da tempo in piena euforia artistica, rispondono da par loro realizzando semplicemente il disco perfetto, uno di quegli album che entrano di diritto nella storia del progressive anche se realizzati a quasi tre decenni dalla nascita del genere. Non innovativo, ma perfettamente conforme a quello stile che è ormai diventato un marchio di fabbrica, AS THE WORLD contiene tutto quello che c’era nel disco precedente, solo fatto ancora meglio da tutti i punti di vista: i cambi di tempo, l’energia, le intricate armonie di chitarre e tastiere, l’incalzante base ritmica, le aperture orchestrali, le melodie vocali intricate eppure così orecchiabili, i momenti acustici alternati a sferzate elettriche, le liriche taglienti. The Cheese Stands Alone, As The World, One For The Show, Never The Same, Uncle, sono solo alcuni esempi di ciò che riesce a realizzare la band in evidente stato di grazia. Gli apprezzamenti giungono a pioggia da tutto il popolo prog e a quel punto accade l’inspiegabile: la Sony non supporta minimamente il lancio del disco né i concerti e anzi rescinde improvvisamente il contratto, lasciando la band letteralmente attonita e shockata per il trattamento ricevuto. “Per noi è stato un periodo caratterizzato da grandi alti e grandi bassi. La cosa più avvilente è stata vedere come la casa discografica fosse riuscita a dissipare tutto ciò che avevamo costruito tra il 1989 e il 1993 in termini di comunicazione e rapporto con il nostro pubblico” (Brett Kull). Il CD è attualmente disponibile con un artwork diverso dall’originale e con allegato un bonus DVD contenente le immagini del concerto che venne organizzato per l’uscita del disco.
WHEN THE SWEET TURNS TO SOUR (Cyclops, 1996) – La delusione per l’occasione colta e inspiegabilmente sfumata fu tale da provocare forti tensioni all’interno della band che sfociarono in un inaspettato scioglimento. A parziale consolazione giunse questo album postumo, che rappresentò una sorta di canto del cigno. Iconograficamente mortificato da una cover di rara bruttezza, il disco è in pratica una raccolta contenente alcuni abbozzi di brani inediti tratti dalle sessioni di registrazione di AS THE WORLD, qualche traccia live e una cover di When the sour turns to sweet dei Genesis originariamente registrata per un tributo della etichetta Magna Carta ma in esso mai inclusa a causa del veto da parte della Sony. Si tratta, come facilmente intuibile, di un lavoro interessante anche se non propriamente imprescindibile, che lasciò nei fan un forte rimpianto per ciò che avrebbe potuto essere e non sarebbe mai stato. “Non si tratta di un vero album, oggi non pubblicheremmo mai della roba del genere. L’unico obiettivo era di racimolare un po’ di soldi per saldare tutti i debiti che avevamo accumulato durante la realizzazione di AS THE WORLD” (Brett Kull). Il disco è fuori stampa ed attualmente è disponibile all’interno del box A LITTLE NONSENSE: NOW AND THEN.
COWBOYS POEMS FREE (autoproduzione, 2000) – La fine degli anni ’90 vede la nascita, dalle ceneri degli Echolyn, di due nuovi gruppi piuttosto diversi tra loro, diretta emanazione delle due anime che avevano per anni convissuto nella band d’origine. Chris Buzby, riunisce intorno a sé il fratello batterista e altri validi musicisti tra cui spiccano la brava cantante Laura Martin e il funambolico chitarrista Scott McGill, e fonda i Finneus Gauge con i quali pubblica due album: MORE ONCE MORE (1997) e ONE INCH OF THE FALL (1999). Sull’altro versante Brett Kull, Ray Weston e Paul Ramsey fondano gli Still che pubblicano nel 1996 ALWAYS ALMOST per poi gettare in confusione i fan cambiando nome proprio in Always Almost e pubblicando, l’anno dopo il secondo album GOD POUND HIS NAILS. Le due emanazioni degli Echolyn sono sicuramente interessanti ma lasciano abbastanza insoddisfatti i fan in quanto danno l’idea di due metà perfettamente complementari tenute invece separate a forza. Per fortuna il tempo guarisce i contrasti e la voglia di tornare a produrre musica insieme si fa sempre più forte fino a che la premiata ditta Echolyn si riforma, con l’assenza del solo bassista Tom Hyatt, e con l’aggiunta del percussionista Jordan Perlson (dotato studente del prof. Buzby). Il frutto di tale reunion è un nuovo album di inediti: molto bello anche se lontano dalle vette qualitative di AS THE WORLD, dal quale si discosta in maniera abbastanza evidente anche dal punto di vista stilistico. I brani del disco sono infatti più legati ad un rock della west coast tipicamente americano (componente comunque sempre presente nella musica degli Echolyn), con cori e soluzioni melodiche di immediata presa e a volte tendenti al pop, ma sono comunque di ottimo livello e di certo non privi della classe e del tipico gusto negli arrangiamenti da sempre caratteristica distintiva della band. Texas Dust, High As Pride, Brittany, Swingin’ The Ax, Too Late For Everything non saranno al livello degli apici compositivi del gruppo, ma sono sicuramente grandi pezzi, che strizzano l’occhio al passato e guardano verso future nuove sonorità. Il cd è disponibile in ristampa rimasterizzata e con artwork diverso dall’originale.
A LITTLE NONSENSE: NOW AND THEN (autoproduzione, 2002) – Si tratta di un cofanetto contenente il disco d’esordio, l’EP …AND EVERY BLOSSOM, e la raccolta di rarità WHEN THE SWEET TURNS SOUR. A ciò si aggiunge vario materiale bonus: un inedito di discreta fattura (Edge Of Wonder), tre brani da COWBOYS POEMS FREE in energiche versioni live, e le versioni ri-registrate delle canzoni As The World, Suffocating The Bloom, Carpe Diem e Shades, interessanti ma non propriamente imprescindibili. Il tutto condensato in tre dischetti confezionati in un digipack extra large, abbastanza scialbo dal punto di vista grafico, il cui scarno booklet non riporta al suo interno nessuna rappresentazione delle copertine originali dei tre lavori né tantomeno i testi dei brani.
MEI (autoproduzione, 2002) – Dopo il controverso lavoro del 2000 gli Echolyn tornano un po’ sui loro passi e riabbracciano le familiari sonorità del caro vecchio rock progressivo realizzando, con l’aiuto di una sezione di archi e fiati, un’ambiziosa suite di quasi 50 minuti intitolata Mei. Dalla formazione risulta ancora assente il bassista Tom Hyatt mentre il percussionista Jordan Perlson non è più indicato come membro effettivo della band ma solo come musicista ospite. Il pezzo, non fosse altro che per la durata, è ovviamente di fruibilità non propriamente immediata tanto più che le varie sezioni non sono suddivise in tracce probabilmente per accentuare il carattere unitario dell’opera. Peccato che ciò non permetta di riascoltare agevolmente certe sezioni e aumenti di conseguenza i tempi di assimilazione di un così lungo flusso musicale. In ogni caso, tralasciando questa problematica, la suite non presenta particolari punti ostici e contiene più o meno tutti i tipici elementi dell’Echolyn-sound: dalle melodie a due voci sempre piacevoli alle alternanze funamboliche di sezioni tirate ed altre più riflessive, dagli arrangiamenti complessi basati sui dialoghi tra chitarra e tastiere agli interventi orchestrali magnificamente arrangiati da Buzby: “Un viaggio, una storia da raccontare con un tema principale e diverse variazioni, un poema sinfonico. Mi sono cimentato con l’orchestrazione della musica e con le partiture dei vari strumenti acustici” (Chris Buzby). Il disco risulta attualmente reperibile nell’edizione originale. La suite Mei è stata inoltre pubblicata in versione live, insieme a materiale tratto dai precedenti album, sia nell’official bootleg ormai fuori stampa JERSEY TOMATO del 2003 ma disponibile in formato liquido su Bandcamp, che nel DVD STARS AND GARDEN del 2004, anch’esso di non facilissima reperibilità.
THE END IS BEAUTIFUL (autoproduzione, 2005) – Con questo lavoro, a sorpresa, rientra stabilmente nei ranghi il bassista Tom Hyatt che comunque già da un po’ di tempo aveva ricominciato una collaborazione con i vecchi compagni in occasione dei concerti, sgravando Weston dall’oneroso lavoro di cantare e contemporaneamente suonare il basso. Il ritorno del “figliol prodigo” coincide con un nuovo cambiamento di rotta della band che dopo un album più legato al rock melodico americano e uno invece più saldamente ancorato alla tradizione sinfonico-progressiva, con THE END IS BEAUTIFUL mostra nuovamente una prevalenza della componente più diretta e rockettara del trio Kull-Weston-Ramsey su quella classicheggiante e jazz-rock del professore di musica Chris Buzby. Il risultato è sicuramente positivo ed ancora una volta in linea con le qualità artistiche del quintetto, che riesce a creare musica intelligente e coinvolgente indipendentemente dallo stile proposto, scontentando ancora una volta solo i fan più integralisti. Certo, ci vuole una certa apertura mentale per passare con nonchalance dalle geniali partiture progressive di AS THE WORLD agli intrecci di ottoni o alle ritmiche quasi funky che fanno spesso capolino su THE END IS BEAUTIFUL ma la capacità di guardare avanti e di non ripetersi è da sempre stata una delle caratteristiche peculiari degli Echolyn. Ed allora tanto vale rilassarsi e godersi l’ascolto di brani come la frenetica e funkeggiante Georgia Pine, che nonostante la struttura semplice presenta un arrangiamento piuttosto interessante, della jazzata Heavy Blue Miles in cui le partiture di fiati donano colori inediti alla tavolozza espressiva dei Nostri, o ancora della ballad Lovesick Morning resa particolare dal sapiente uso degli ottoni. Si tratta solo del trittico iniziale di un disco che merita di essere scoperto dalla prima all’ultima traccia e assimilato in tutte le sue sfumature e che mostra ancora una volta la vitalità di una delle più grandi prog band dell’era moderna. L’album viene tra l’altro per la prima volta supportato da un tour europeo che, fortunatamente per i fan italiani, porta la band ad esibirsi a Roma il 9 settembre 2005. “Ora queste canzoni mi sembrano distanti e strane. Fortunatamente all’epoca abbiamo portato in tour il disco in Europa, e suonandoli dal vivo i pezzi hanno preso vita” (Brett Kull)
ECHOLYN (autoproduzione, 2012) – Il nuovo album questa volta si fa attendere veramente a lungo: ben sette anni, un lasso di tempo che non era passato nemmeno dopo lo scioglimento della band. La pazienza dei fan viene premiata con l’uscita nientemeno che di un doppio CD anche se, calcolando il minutaggio degli otto brani si scopre, con un certo stupore, che il tutto avrebbe potuto essere contenuto anche in un singolo disco. La scelta, inspiegabile, diviene leggermente fastidiosa alla luce della mossa successiva della band, che una volta uscito il disco mette in vendita, solo tramite download digitale, ben sei inediti lasciati inspiegabilmente fuori dalla track list. Lasciando da parte le recriminazioni relative alle scelte di marketing, fortunatamente dal punto di vista musicale la soddisfazione per i fan è notevole in quanto la band realizza un vero e proprio capolavoro. Lasciate da parte le coloriture pop-funky-jazz del lavoro precedente, siamo di fronte a un glorioso ritorno di tutto ciò che aveva fatto innamorare della band, schiere di appassionati di rock progressivo. I serrati dialoghi tra chitarre e tastiere, le vocalità di scuola Gentle Giant, le invenzioni ritmiche, i ricami di archi, le canzoni complicate ma con l’orecchiabilità di una hit da classifica: tutto sembra riportare ai fasti del passato. Tra le perle di un disco che presenta pochi punti deboli (anche la breve pop-song Headright si lascia ascoltare con piacere), meritano una particolare segnalazione la vivace opener Island, che in 16 minuti di puro genio spazza via ogni eventuale dubbio sullo stato di forma della band, e la lenta, malinconica (Speaking In) Lampblack con il suo raffinatissimo arrangiamento che cresce gradualmente grazie ad una perfetta fusone tra partiture orchestrali e strumentazione rock. “Abbiamo messo in pratica quanto avevamo imparato con THE END IS BEAUTIFUL ma veicolando le idee con più eleganza e maturità. Mi piace il fatto che l’album non abbia un titolo, in questo modo l’ascoltatore è libero di cercare dei signifcati” (Brett Kull).
I HEARD YOU LISTENING (autoproduzione, 2015) – Il nuovo album segue di soli tre anni il “disco delle finestre”, come viene soprannominato dai fan il doppio del 2012, e a tale disco è connesso anche stilisticamente. Come il precedente, I HEARD YOU LISTENING è infatti un distillato dei migliori tra i vari ingredienti che nel tempo hanno concorso a formare l’echolyn-sound: al sempre scoppiettante rock sinfonico si affiancano infatti il rock west coast, il folk, il blues, il post rock in un’ideale e riuscitissima fusione che è tuttavia sempre qualcosa in più della semplice somma delle parti. Gli Echolyn hanno infatti da sempre aggiunto alle loro influenze un qualcosa che poche band possiedono, almeno al loro livello: le emozioni, che da sempre permeano le loro composizioni rendendole uniche e inconfondibili in un panorama progressive che sempre più spesso fa del manierismo la sua cifra stilistica. Messenger Of All’s Right, Carried Home, Sound Of Bees, sono solo alcuni splendidi esempi di un progressive ricco di idee, tecnica e tanta passione tanto nei momenti più tirati ed energici che in quelli più malinconici e melodici.