Pubblicato il Agosto 27th, 2016 | by Roberto Paravani
0Trettioåriga Kriget – Efter Efter (2011)
1. Mannen på bänken (The man on the bench)
2. Barnet (The child)
3. Tavlan (The painting)
4. The Dance
5. Glorious War
6. Till en sputnik (For a sputnik)
7. Paus
8. Efter efter (After after)
Etichetta Mellotronen/CD
Durata 49’12”
Stefan Fredin (bass guitar, vocals, acoustic guitar) ● Dag Lundquist (drums, percussion, backing vocals) ● Robert Zima (vocals) ● Christer Åkerberg (electric & acoustic guitars) ● Mats Lindberg (keyboards)
I Trettioåriga Kriget sono tra i massimi esponenti della scena progressiva svedese. Formatisi nel lontano 1970, sono rimasti attivo sino al 1981 producendo cinque lavori in studio, caratterizzati da un prog molto fisico, zeppo di chitarre grezze e brusche ma caratterizzato anche da un costante quanto romantico utilizzo del mellotron, che attenuava nei fatti le spigolosità. Un prog duro ma particolarmente personale cui si fa difficoltà a trovare delle similitudini nel panorama mondiale. E poi, a quanto si dice, una cura maniacale nella costruzione delle liriche, rigorosamente in svedese e ad opera del paroliere della casa Olle Thörnvall. A parte sporadiche reunion per estemporanei concerti, la band rimane sostanzialmente inattiva sino al 2002 quando si ritrova a provare nuovo materiale; il risultato di queste session vede la luce nel 2004 con Elden av år il primo di una trilogia di album – tutti accumunati da nostalgiche riflessioni autobiografiche – che si conclude proprio con questo Efter efter. Per la cronaca, nel 2004 viene pubblicato anche Glorious war un lavoro registrato nel 1971 e quindi prima del debutto discografico omonimo del 1974. Questo nuovo lavoro è la testimonianza fisica di una band che invecchia onorevolmente, senza ripetere all’infinito gli stessi atteggiamenti degli esordi adolescenziali ma allo stesso tempo che rifugge forme di modernità inopportune e lontane dal proprio DNA. Sparite giocoforza le impetuosità degli esordi, rimane un solido e personale rock chitarristico, suonato con classe e senza cadute di tensione. Manca in verità un guizzo, un elemento di follia imprevista, che vada a scompaginare il solenne (e un po’ legnoso) incedere del flusso sonoro, il cui apice risiede proprio nella suite conclusiva che da il titolo all’intero lavoro. Un lavoro cui l’aggettivo dignitoso sembra assolutamente calzante anche se privo di reali sorprese.