Pubblicato il Agosto 26th, 2016 | by Roberto Paravani
0Focus – Focus 9 / New Skin (2006)
1. Black Beauty
2. Focus 7
3. Hurkey Turky 2
4. Sylvia’s Stepson – Ubutuba
5. Niels’ Skin
6. Just Like Eddy
7. Aya-Yuppie-Hippie-Yee
8. Focus 9
9. Curtain Call
10. Ode To Venus
11. European Rap [sody]
12. Pim
13. It Takes 2 2 Tango
Etichetta Red Bullet/CD
Durata 73’34”
Thijs van Leer (Hammond, flute, vocals) ● Niels van der Steenhoven (guitars) ● Bobby Jacobs (bass, backing vocals) ● Pierre van der Linden (drums) ● Jo de Roeck (vocals on Just Like Eddy)
I Focus erano il più famoso gruppo olandese negli anni settanta. Nati sul finire dei sessanta per volontà del flautista/tastierista Thijs Van Leer, raggiunsero una elevata notorietà internazionale tra il 1971 ed il 1978 grazie a magnifici album quali Moving Waves e Hamburger Concerto ed a pezzi come il cavallo di battaglia House of the King, l’hit Sylvia ed il simpatico yodel di Hocus pocus. Il consenso di pubblico era dovuto ad uno stile musicale realizzato con una felice commistione tra musica classica, rock, jazz e pop orecchiabile. Il suono era fortemente caratterizzato dai virtuosismi al flauto del leader e dal solismo talentoso del chitarrista Jan Akkerman; e proprio a causa di queste caratteristiche furono spesso chiamati i “Jethro Tull olandesi”. Poi lo scioglimento sul finire dei settanta, molti album solisti e progetti alternativi, sino al 2002 quando Thijs Van Leer, unico membro della formazione originale, decise di rispolverare la vecchia sigla per un nuovo album: Focus 8. Ora a distanza di quattro anni esce anche questo Focus 9 / New skin che oltre al leader di sempre, vede il ritorno in formazione del batterista originario Pierre van der Linden. L’album è come al solito quasi interamente strumentale, pensato e suonato con grande professionalità ma ben poco cuore e, cosa peggiore, senza idee memorabili. Musica che purtroppo ha perso quella caratteristica irruenza dei tempi d’oro; è sì diventata meno grezza ma ha smarrito tutta quella fragranza un po’ ingenua, un po’ spavalda dei giorni migliori. Intendiamoci, l’album è suonato, prodotto ed arrangiato con molta serietà e con un certo gusto – però gli ammiccamenti alla Marcia Turca di Mozart in Hurkey Turkey 2 se/ce li potevano tranquillamente risparmiare – ma non riesce ad assolvere ad altri obiettivi se non quello di morbido sottofondo che non infastidisce ne disturba. Magari i fedelissimi troveranno anche spunti ed argomenti da apprezzare, ma questo è un lavoro assolutamente privo di autentici guizzi e, per dirla tutta, un opera francamente trascurabile.