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Pubblicato il Ottobre 12th, 2016 | by Paolo Formichetti

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Pendragon – Il volo del dragone

Se si vuole analizzare la storia del progressive senza la spocchia tipica degli “integralisti” che lo considerano morto e sepolto già dopo il 1976, un posto di indubbio rilievo va riservato a quel manipolo di band inglesi, Marillion in primis, che nei primi anni ’80, periodo di “oscurantismo” musicale durante il quale punk e disco music dilagavano, portarono di nuovo alla ribalta il nostro genere musicale preferito, modernizzandolo nelle sonorità, ma mantenendone intatto fascino ed ispirazione. Accanto ai succitati Marillion, alfieri di quello che viene comunemente denominato new prog, le band che più si sono distinte per longevità, numero di uscite discografiche e seguito di pubblico, sono stati sicuramente Iq e Pendragon. Proprio di questi ultimi cercheremo di analizzare la produzione in studio (escludendo live, raccolte ed EP) realizzando una sorta di guida all’ascolto che speriamo possa incuriosire il neofita e titillare le corde della memoria dell’appassionato di lungo corso.



THE JEWEL (Elusive Records, 1985) – Dopo il mini LP FLY HIGH FALL FAR (ristampato in CD nell’antologico The Rest Of Pendragon), questo lavoro rappresenta il vero e proprio esordio discografico della band inglese. L’album viene pubblicato nel 1985 dalla Elusive Records, etichetta consociata alla EMI. La formazione non è ancora quella definitiva, ma le idee musicali di Nick Barrett ci sono già tutte e si inseriscono nel solco tracciato un paio di anni prima dai Marillion (con i quali i Pendragon hanno diviso più volte il palco). La chitarra fa ovviamente la parte del leone alternando assoli struggenti e melodici ad arpeggi o ritmiche più energiche e dialoga fittamente con le onnipresenti tastiere su una base ritmica ricca di cambi di tempo e d’atmosfera. Il lavoro contiene brani di media lunghezza con alcune mini-suite di grande impatto come Leviathan, Alaska e la bellissima Black Night, veri e propri classici del repertorio live, ma non mancano tentativi di produrre anche qualcosa di più immediato e orecchiabile (un po’ sulla falsariga della marillioniana Market Square Heroes) come nel caso del brano di apertura Higher Circus.




KOWTOW (Toff Records, 1988) – Il disco che avrebbe dovuto pubblicare la EMI per lanciare i Pendragon. Barrett cerca la svolta pop-melodica producendo una serie di canzoni che strizzano l’occhio alla new wave, risultando troppo leggere per piacere al progster incallito ma al tempo stesso non abbastanza orecchiabili per entrare in classifica. Il lavoro, disconosciuto dalla EMI, viene pubblicato dalla neonata Toff Records, etichetta fondata ad hoc dello stesso Barrett. Saved By You è sufficientemente imbarazzante e ai limiti dell’insulso, ma sicuramente pezzi come Total Recall e The Haunting si lasciano ascoltare con un certo piacere, anche se in definitiva non si può certo parlare di lavoro imprescindibile. Da segnalare l’ingresso nella formazione del tastierista Clive Nolan, anche se il suo apporto qui si limita solo a un po’ di colore. La line up costituita da Barrett, Nolan, Peter Gee (basso) e Fudge Smith (batteria) rimarrà invariata fino al 2008.




THE WORLD (Toff Records, 1991) – L’insuccesso commerciale di KOWTOW e la delusione per il rapporto con la EMI stroncato sul nascere rappresentano per i Pendragon la molla che li spinge a reagire e a sfornare il loro capolavoro. Barrett impara dai suoi errori e tanto per cominciare impreziosisce il nuovo album con una favolosa cover di Simon Williams, che più prog non si può. Si torna a pezzi lunghi, complessi dal punto di vista strutturale e strumentale ma dalle melodie vocali assolutamente vincenti, molto più raffinate ed accattivanti che in passato. Alle influenze marillioniane, ancora senza dubbio presenti, si affiancano, rendendosi sempre più palesi, quelle di Pink Floyd e Camel a formare un mix di indubbia efficacia. Difficile segnalare un pezzo rispetto ad un altro tanto il lavoro è coeso e di alto livello ma senza dubbio su tutti spiccano The Voyager, uno dei brani più belli mai scritti da Barrett, e Queen Of Hearts, una suite straordinaria, oltre 20 minuti di pura magia, perfetta per realizzazione ed ispirazione.




THE WINDOW OF LIFE (Toff Records, 1993) – Confortato dal successo riscosso tra gli appassionati da THE WORLD, Barrett, fedele al famoso detto calcistico “squadra che vince non si cambia”, ne realizza un più che degno successore che si mantiene esattamente sulle stesse coordinate artistiche e stilistiche. Già nei primi minuti dell’opener The Walls Of Babylon si passa da atmosfere rarefatte che sembrano scaturire dagli spartiti di Shine On You Crazy Diamond a crescendo a la Watcher Of The Skies fino ad aperture alla Heart Of Lothian. Nel prosieguo del disco le cose si mantengono sulla stessa falsariga con quel vago senso di deja-vù che continua a fare capolino qua e là, ad esempio ascoltando la genesisiana Ghosts o il vero e proprio plagio chitarristico che la pur bellissima Am I Really Losing You? opera ai danni degli Yes di Soon. Ispirazioni a parte va detto che anche questo disco mostra un mix perfettamente bilanciato di prog melodico, raffinati arrangiamenti e un chitarrismo lirico ed emozionante alle volte fin troppo predominante rispetto alle tastiere di Nolan che infatti sempre più spesso cercherà spazi alternativi (leggasi altre band) dove mostrare le sue abilità di compositore oltre che di mero esecutore di spartiti altrui.




THE MASQUERADE OVERTURE (Toff Records, 1996) – Racchiuso in una cover se possibile ancora più bella delle due precedenti, THE MASQUERADE OVERTURE è il capitolo finale di un’ipotetica trilogia di grandi album. Ancora una volta infatti Barrett colpisce nel segno superando forse anche l’apice di THE WORLD, in virtù di una maggiore maturità a livello di composizione e arrangiamenti. L’introduzione corale cantata in italiano della title track introduce nel migliore dei modi alcuni tra i pezzi più belli mai scritti dai Dragoni come As Good As Gold, Paintbox, o The Shadow, che regalano emozioni a non finire. Il sound della band è più che mai coeso e compatto, gli intrecci armonici sono perfetti, ottime le scelte dei suoni così come la qualità di registrazione. Persino la voce di Barrett sembra migliorata con il passare degli anni. In poche parole, un must have!




NOT OF THIS WORLD (Toff Records, 2001) – Il nuovo album ha una gestazione lunga e difficile a causa di un periodo di crisi personale vissuto da Barrett (iconograficamente rappresentato anche in alcuni particolari della splendida copertina realizzata ancora una volta da Simon Williams). Le problematiche sentimentali e i cinque anni di attesa non riescono tuttavia a scalfire quello che è lo stile della band e che ormai è diventato un vero e proprio marchio di fabbrica. Inutile in questo senso continuare a cercare di cogliere i rimandi a Pink Floyd, Camel o Marillion, dato che ormai queste influenze sono talmente ben amalgamate e interiorizzate dalla band che si può parlare di vero e proprio “Pendragon sound”. Alla continuità stilistica corrisponde fortunatamente anche una continuità dal punto di vista qualitativo: quasi tutti i pezzi risultano degni di nota, in particolare le bellissime Dance Of The Seven Veils, Not Of This World A Man Of Nomadic Traits.




BELIEVE (Toff Records, 2005) – Dopo quattro dischi di alto livello artistico ma stilisticamente molto omogenei fin nell’artwork, il nuovo lavoro mette in allarme i numerosi fan al solo osservarne l’aspetto grafico: maghi, unicorni e paesaggi fatati lasciano infatti il campo al cupo disegno di un omino in tuffo (a dire il vero nemmeno troppo ben realizzato). Anche dal punto di vista musicale qualche cambiamento è subito avvertibile: Barrett introduce sapientemente nelle sue composizioni piccole dosi di spezie e sapori nuovi che rendono più invitante un piatto ben conosciuto che altrimenti avrebbe rischiato di venire a noia. Tra questi nuovi elementi possiamo segnalare cori evocativi di vago sapore celtico, recitativi misticheggianti, atmosferici samples elettronici, una chitarra acustica molto più presente rispetto al passato che si ritaglia persino parentesi di spagnoleggiante flamenco, un’accentuazione delle tematiche pinkfloydiane unito a passaggi un po’ più hard che richiamano alla mente i Porcupine Tree più recenti.




PURE (Toff Records, 2008) – Le avvisaglie di cambiamenti stilistici che facevano qua e là capolino nel disco precedente trovano la definitiva conferma in questo lavoro. Che le cose siano ulteriormente evolute lo si può intuire anche dalla nuova line-up che vede la fuoriuscita dello storico batterista Fudge Smith sostituito dal giovane e muscoloso Scott Higham. La chitarra di Barrett si fa dura, quasi metal, e macina riff granitici ben supportati dalle tastiere di Clive Nolan dedite alla sperimentazione di samples e suoni elettronici. La lezione di Steven Wilson o di un certo metal contaminato ed evoluto appaiono chiare, anche se sono sempre mescolate con il consueto approccio tipicamente melodico di Barrett, mentre l’immancabile suite è ancora una volta un’ottima sintesi di tradizione e modernità, alternando parti di pianoforte a barocche orchestrazioni di archi, chitarre vigorose a lunghi fraseggi solistici. In conclusione dobbiamo dire che il lavoro mostra ancora una volta un Nick Barrett “con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto al futuro” (per citare Pierangelo Bertoli) che cerca di prendere per mano i suoi affezionati fan e portarli, dolcemente, poco alla volta, sempre un po’ più avanti nell’esplorazione di nuovi territori musicali, stando comunque ben attento a non sconvolgerli troppo.




PASSION (Mad Fish, 2011) – Come un atleta che nella gara di salto in alto ad ogni tentativo cerca di alzare di un poco l’asticella, così Nick Barrett prosegue nel solco di BELIEVE e PURE, realizzando un lavoro che prova ad andare ancora un po’ oltre e a innestare altre novità in un sound che si allontana sempre più dal rock romantico dei primi quindici anni di carriera. La prima cosa che colpisce l’ascoltatore è l’ulteriore indurimento del sound che in alcuni pezzi spinge la band nel campo del puro prog metal tanto che sembra di ascoltare i Tiles o gli Enchant. Stavolta la qualità dei brani è un po’ altalenante: veramente ben riuscite e coinvolgenti Empathy Skara Brae, un po’ più anonime Passion e Feeding Frenzy. Tra le piccole novità un po’ particolari che potranno spiazzare i fan e che Barrett inserisce quasi a voler rendere ulteriormente varia la proposta musicale, vanno segnalati l’inserimento di un segmento di rap a dire il vero abbastanza indovinato in Empathy (il brano migliore del disco) nonché, nella peraltro molto bella This Green And Pleasand Land, un accenno di yodel su cui è invece meglio stendere un velo pietoso.




MEN WHO CLIMBS MOUNTAIN (Toff Records, 2014) – Dopo un’evoluzione stilistica che, disco dopo disco, li aveva gradualmente allontanati dai familiari territori new prog per farli inoltrare in lande poco battute fatte di metal e stranezze varie, i Pendragon tornano un po’ sui propri passi. I nuovi pezzi sono una sorta di amarcord degli antichi fasti, un piacevole campionario dei migliori colpi del repertorio barrettiano fatti di ballad malinconiche (l’intro Belle Ame), deliziose melodie eseguite da cori magniloquenti (Beautiful Soul o Explorers Of The Infinite), sognanti assoli di chitarra (Come Home Jack, Faces Of Light) e di tastiera (In Bardo) magari non lunghi come in passato ma sempre di gran gusto. Come nei lavori più recenti c’è sempre spazio qui e là per qualche schitarrata un po’ più dura che strizza l’occhio al prog metal, ma in generale si assiste a una sorta di “ritorno del figliol prodigo” nel confortevole ambito del new prog, sicuramente non innovativo, ma fatto di brani solidi e sempre molto piacevoli all’ascolto.




LOVE OVER FEAR (Toff Records, 2020) – Con LOVE OVER FEAR Barrett e soci (da segnalare l’ingresso nella formazione del nuovo batterista Jan-Vincent Velazco) rientrano nel confortevole alveo del sano, vecchio, romantico rock progressivo, genere nel quale hanno da sempre raccolto i consensi più ampi di critica e pubblico. Si chiude pertanto una sorta di percorso circolare che li aveva visti deviare dalla retta via con timide sperimentazioni e chitarroni ruggenti, per poi fare una parziale marcia indietro con il lavoro precedente e chiudere (definitivamente?) il cerchio con questo disco, in grado di titillare i vecchi fan fin dalla bellissima e sognante copertina. Torna pertanto assoluta protagonista la chitarra di Barrett che si mette in luce con assoli struggenti (Water) o arpeggi dolcissimi (Truth And Lies). A coadiuvare il vecchio maestro della sei corde il sodale di sempre Clive Nolan sempre in grado di emozionare i progster sia quando accarezza i tasti d’avorio di un pianoforte (la bellissima ballad Starfish And The Moon) che quando si esibisce in un romantico solo di synth (Afraid Of Everything).

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