Pubblicato il Settembre 20th, 2016 | by Lorenzo Barbagli
0Seven Impale – Contrapasso (2016)
1. Lemma (8:59)
2. Heresy (7:16)
3. Inertia (9:09)
4. Langour (7:39)
5. Ascension (1:37)
6. Convulsion (5:06)
7. Helix (9:16)
8. Serpentstone (7:20)
9. Phoenix (11:14)
Etichetta Karisma Records /CD
Durata 67’37”
Stian Økland (vocals, guitars) ● Fredrik Mekki Widerøe (drums) ● Benjamin Mekki Widerøe (sax) ● Tormod Fosso (bass) ● Erlend Vottvik Olsen (guitar) ● Håkon Vinje (keyboards)
Dopo aver prodotto un promettente EP nella primavera del 2013, i norvegesi Seven Impale avevano fatto centro già con l’ottimo City of the Sun, (2014) album che li aveva incasellati su una scia prog jazz dai toni vandergraaffiani, soprattutto per quelle divagazioni strumentali a base di aspri sax e suggestioni heavy fusion. Alla prova del secondo lavoro, quasi come vuole la prassi, ecco aumentare le ambizioni: il gruppo si lascia andare a dilatazioni temporali più marcate e, di conseguenza, si apre a maggiori possibilità di sperimentazione. Spingendo i limiti verso percorsi sonori più poderosi, Contrapasso sposta le coordinate nella direzione di un heavy prog psichedelico piuttosto che rincorrere con maggior convinzione il sentiero jazz rock: in tale contesto, anche il timbro del sassofono viene divorato dal vortice elettrico creato dal gruppo. Nella ruvidezza fuzz di Inertia e Covulsion si trovano infatti alcuni collegamenti con le prog band scandinave contemporanee, affascinate dai suoni abrasivi crimsoniani, ma i Seven Impale sembrano interessati a sondare i buchi neri sonici con un impeto inedito. Le atmosfere doom sottolineate dall’organo di Vinje, dagli scoordinati fraseggi del sax di Widerøe e dal cantato alienante e ferale di Økland, fanno di Lemma e Langour una chiara dichiarazione d’intenti. La tensione generale viene spezzata solo dall’andamento soul-funky di Heresy, comunque non esente da incursioni noise. Per il resto Contrapasso, tra le divagazioni della strumentale Phoenix e la funerea Helix, è un altro passo importante per definire il radicale avvicinamento del gruppo verso atmosfere quiete e sinistre pronte ad esplodere da un momento all’altro. Un album che scorre fino alla fine su binari massicciamente cupi, riscrivendo di fatto le regole del metal: per questo motivo il sestetto si cala benissimo nel panorama odierno del rock progressivo, grazie a una proposta che cerca di essere lungimirante e originale ma che non nasconde il proprio legame con il proto hard prog degli anni ’70, rappresentato in particolare da gruppi come Black Widow e High Tide.