Pubblicato il Settembre 16th, 2016 | by Paolo Formichetti
0Matthew Parmenter – All Our Yesterdays (2016)
1. Scheherazade
2. Danse du Ventre
3. Digital
4. I Am a Shadow
5. All for Nothing
6. All Our Yesterdays
7. Stuff in the Bag
8. Inside
9. Consumption
10. Hey for the Dance
Etichetta Bad Elephant Music
Durata 41’30”
Matthew Parmenter (all instruments except drums, vocals) ● Paul Dzendzel (drums)
Nonostante i Discipline siano tornati in attività, addirittura con una esibizione live nel vecchio continente, il loro leader trova comunque il tempo di realizzare il suo terzo lavoro solista. Come già accaduto in passato, Parmenter si occupa di tutti gli strumenti facendosi aiutare solo per alcune parti di batteria dal compagno di band Paul Dzendzel, e per il missaggio da un vero e proprio mago del settore, Terry Brown, noto per la lunga collaborazione con i Rush. Per la prima volta, inoltre, il disco viene pubblicato da un’etichetta indipendente (Bad Elephant) piuttosto che venire prodotto direttamente dall’artista (sperando che ciò porti ad una distribuzione ufficiale in Europa). Il disco si apre con gli spettrali vocalizzi che introducono Scheherazade, ispirata alla storia che nelle “Mille e una notte” fa da raccordo ai vari racconti. Il brano è affascinante e dopo un intro pianistica si colora dei vari strumenti, che Parmenter stratifica fino a renderlo simile a ciò che realizzerebbe una band al completo. La chiusura è affidata a una coda strumentale nella quale, su una base pianistica ripetuta a lungo, la chitarra si lascia andare a lisergiche improvvisazioni come accadeva nella traccia di apertura di Astray. I toni si alleggeriscono con Digital, ballad di discreto livello anch’essa caratterizzata da un arrangiamento da full band, mentre la successiva I am a shadow è intrisa di una lieve malinconia, sottolineata da delicate pennellate di piano ed archi. Gli echi di un capolavoro come Between me and the end vengono fuori prepotentemente nella stupenda All for nothing, nella quale un violino struggente introduce una ballad pianistica in cui Parmenter canta con trasporto una melodia da lucciconi agli occhi. Il pezzo cresce con sax e chitarra elettrica fino al triste epilogo, sottolineato ancora una volta dal violino. In una sorta di uno-due da k.o. emozionale arriva la title track, il cui testo è tratto nientemeno che da un monologo del quinto atto del Machbet di William Shakespeare. Ancora una volta dopo un inizio piano e voce di grandissimo impatto emotivo, il brano raggiunge il suo climax in un solo di chitarra di quelli che arrivano dritti al cuore e ai quali ci aveva abituato Preston Bouda, lo storico chitarrista dei Discipline (recentemente sostituito da Chris Herin dei Tiles). Dopo un simile vortice di emozioni, l’allegra pop song Stuff in the bag lascia decisamente spiazzati, dal momento che si tratta di un brano leggero ma non certo malvagio, tanto che può capitare di ritrovarsi nella mente il suo ritornello anche a distanza di ore. Il termometro emozionale torna di nuovo a salire con la successiva Inside, altra ballad malinconica forse non struggente come le precedenti ma che mostra ancora una volta come Parmenter sia particolarmente abile a comporre brani di questo genere. Il disco si avvia alla fine con Consumption, breve intermezzo voce e chitarra francamente evitabile, e con Hey for the dance, una sorta di spiritual di sicuro impatto emotivo ma decisamente fuori dai suoi consueti canoni compositivi. Tirando le somme, Parmenter, complice la nuova fase di vita dei Discipline, opta in questo disco per la scelta più ovvia continuando il percorso di separazione e distinzione di quanto prodotto a suo nome da quanto realizzato con la band, orientandosi sempre più su ballad oscure e malinconiche. Se in precedenza c’era l’esigenza di accontentare i fan rimasti orfani dei Discipline inserendo comunque qualche traccia che li ricordasse, qui Matthew si sente del tutto libero di esprimere altre parti della sua variegata personalità musicale, anche a costo di inserire qualche rara nota stonata in una dolcissima melodia.