Pubblicato il Settembre 10th, 2016 | by Paolo Carnelli
0Goblin Rebirth – Same (2015)
1. Requiem for X
2. Back in 74
3. Book of Skulls
4. Mysterium
5. Evil in the Machine
6. Forest
7. Dark Bolero
8. Rebirth
Etichetta Relapse Records /CD
Durata 46’13”
Fabio Pignatelli (Bass, Keyboards, Programming) ● Agostino Marangolo (Drums) ● Giacomo Anselmi (Electric & acoustic guitars, Bouzouki) ● Danilo Cherni (Keyboards) ● Aidan Zammit (Keyboards & Vocoder). Special guests: Roberta Lombardini (Vocals), Arnaldo Vacca (Percussion), Francesco Marini (Cello)
Era il 22 aprile del 2011, quando una nuova incarnazione del leggendario folletto, significativamente marchiata “Rebirth”, faceva il suo debutto live a Roma. Fin dalle prime note fu subito chiaro come la band avesse in sé le potenzialità per andare oltre il puro e semplice revival e provare a scrivere qualche pagina inedita nella lunga e complessa storia gobliniana: una semplice questione alchemica, di felici equilibri, grazie ai quali la celebre sezione ritmica formata da Fabio Pignatelli e Agostino Marangolo sembrava aver trovato nuova linfa grazie all’apporto di nuovi e validi musicisti come Giacomo Anselmi, Aidan Zammit e Danilo Cherni. Quattro anni e mille peripezie dopo, il germe della rinascita finalmente si materializza e attecchisce in un lavoro comprendente otto brani strumentali: un album in puro stile Goblin, su questo non c’è il minimo dubbio, ma al tempo stesso differente nella forma e nella sostanza rispetto alle ultime deludenti uscite discografiche che hanno visto protagonisti i musicisti legati allo storico marchio. Il nuovo progetto, pur mantenendo forte, fortissimo il legame con il passato, permette alla musica dei Goblin di fare un salto nel futuro. Certo, l’inizio dell’album è caratterizzato, ancora una volta, dal rimando alle “campane tubolari” di Oldfield e a tutto ciò che ne consegue, ma in questo caso è veramente un riferimento che sta lì a segnare in maniera consapevole l’inizio della fine, l’inizio di una rinascita che diventa quanto mai evidente a fine percorso, nella conclusiva Rebirth, decisamente uno dei brani più prog e ispirati che i Goblin abbiano mai scritto. In mezzo ci sono altri sei pezzi destinati a solleticare le orecchie dei vecchi fan del gruppo, tra intricati tempi dispari, malinconici temi di synth, inquietanti arpeggi di bouzouki, voci operistiche e l’immancabile vocoder. C’è spazio addirittura per un intrigante ed elegante bolero in stile noir. Ma, alla fine dei conti, a suggellare il tutto è sempre il basso inconfondibile di Fabio Pignatelli, vero e proprio deus ex machina di questa convincente e appassionante rinascita: oltre che con il suo fido Rickenbacker, ancora una volta anche in fase di mix e produzione.