Pubblicato il Settembre 7th, 2016 | by Paolo Formichetti
0Yngwie J. Malmsteen – Implacabile: Il Memoir (2013)
Casa editrice Arcana Edizioni
Pagine 235
Da appassionato di musica a 360 gradi nonché chitarrista dilettante, ho sempre trovato divertenti e stimolanti quelle lunghe ed estenuanti discussioni su quali siano i chitarristi tecnicamente più preparati, quelli più espressivi, quelli con il suono migliore, quelli più innovativi e geniali dal punto di vista compositivo. Ognuno ha la sua lista personale, le sue idee, le sue motivazioni e si va avanti a lungo snocciolando decine e decine di nomi, alcuni ovvi altri molto meno. Diversa è la storia se invece si vogliono elencare i chitarristi che hanno letteralmente cambiato il modo di suonare la chitarra, quelli, per intenderci, che quasi tutti hanno cercato di imitare nello stile e nella tecnica. In questo caso la lista diventa molto più corta e, rimanendo nel rock, si riduce forse solo a un certo Jimi, a un ragazzetto di origine olandese di nome Eddie, e a un algido svedese trapiantato in California e dal nome impronunciabile: Yngwie J. Malmsteen. Dopo l’uscita di Rising Force iniziarono infatti a spuntare come funghi decine di chitarristi iper-veloci che ne seguirono più o meno pedissequamente le orme facendo proprio il suo chitarrismo in stile neoclassico. In questo libro il buon Yngwie racconta la sua vita con la sincerità e la franchezza che ci si aspetta da un amico con il quale si è andati a prendere una birra al pub: dalla difficile adolescenza passata a scontrarsi con il rigido e repressivo sistema educativo svedese, alla folgorazione musicale rappresentata dall’ascolto di Hendrix e dei capricci di Paganini, dal viaggio verso la lontanissima e ignota California effettuato portando con se solo una Stratocaster e un cambio di vestiti, al folgorante successo mondiale. Pagina dopo pagina ci si trova avvinti nel racconto di una carriera pazzesca, caratterizzata dai classici stereotipi della rockstar anni ’80 (droghe, alcol, manager truffatori, macchine di lusso, party selvaggi e scazzottate), ma portata avanti con una determinazione e una dedizione veramente fuori dal comune. Non mancano poi informazioni tecniche (la sua fissazione per Stratocaster e Marshall e il suo approccio inizialmente diffidente nei confronti delle moderne tecniche di registrazione digitale), aneddoti di ogni tipo (il suo amore per le Ferrari e per la musica classica), per concludere con la classica “uscita dal tunnel della perdizione” (grazie all’amore per l’ultima moglie, April, e per il figlio Antonio). Chicca finale per i prog fan: più volte il buon Yngwie sottolinea il suo amore giovanile per un gruppo inglese che componeva brani complessi e sofisticati: i Genesis di Peter Gabriel!