Isole

Pubblicato il Agosto 25th, 2016 | by Paolo Carnelli

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Lorenzo Feliciati (Naked Truth, Twinscapes)

I dieci dischi dell’isola deserta di LORENZO FELICIATI, bassista e polistrumentista con Naked Truth (con Pat Mastelotto), Twinscapes (con Colin Edwin), Berserk! (con Lorenzo Esposito Fornasari) e tanti altri progetti di (stra) ordinaria temerarietà musicale… more info: www.lorenzofeliciati.com


WEATHER REPORT – Weather Report (1982)
Impossibile scegliere un album tra tutti quelli firmati da Zawinul e Shorter insieme alle varie formazioni, ma ovviamente, da bassista, la figura carismatica di Pastorius non poteva mancare in questa lista. Li vidi dal vivo nel tour che seguì la pubbliìcazione dell’album e rimasi folgorato dalla musica e dalla presenza di Jaco sul palco… un performer eccezionale e una band (completata da Peter Erskine e Bobby Thomas) capace di suonare con l’impatto di una big band di 20 elementi e con la sofisticata leggerezza di un trio di Jazz acustico. La suite divisa in tre parti “N.Y.C.” rimane secondo me uno dei punti più alti di ognuno di loro, c’è dentro tutto: il jazz, la musica etnica, il futuro e il passato… con un suono di Pastorius ancora inarrivabile per calore e completezza

WHITE ALBUM – The Beatles (1968)
Davvero difficile scegliere un album dei Beatles. Credo che il WA sia probabilmente il più rappresentativo, quello che mostra in maniera più evidente gli elementi che sono poi rimasti per sempre nell’immaginario degli ascoltatori ma anche dei compositori e di chiunque faccia musica… ma ripeto: davvero una scelta difficile!

THE CONSTRUKCTION OF LIGHT – King Crimson (2001)
Non c’è più Bruford, non c’è più Levin… ma il quartetto che scrive dopo 17 anni un nuovo capitolo del celebre brano “Larks’ Tongues in Aspic”, riesce ad imprimere alla musica una deriva aggressiva e “laterale” che mi affascinò subito. L’insieme della chitarra di Fripp e della Warr Guitar di Gunn è micidiale: un muro che, pur pagando pegno alla contemporaneità, ancora una volta si scaglia avanti superando senza mettere la freccia… Fripp e compagni (oltre a Gunn ci sono anche Adrian Belew alla voce e chitarra e Pat Mastelotto alla batteria) segnano la strada con un album difficile ma assolutamente affascinante

OIL ON CANVAS – Japan (1983)
Se devo scegliere un solo album che rappresenti una band parto sempre da un album dal vivo. Nel caso dei Japan la scelta cade inevitabilmente su “Oil on Canvas”, album splendido dove, pur mantenendo fede al loro approccio” freddo” e poco incline ad improvvisazioni sul palco, i Japan trasmettono una vibrante sensazione di energia, anche se trattenuta e domata. Basterebbe anche solo la presenza di Mick Karn, una delle voci non solo bassistiche più lucide, complete e riconoscibili degli ultimi 40 anni

RED – King Crimson (1974)
Se non ci fosse stato “Red” probabilmente la musica sarebbe stata diversa, almeno se crediamo alle attestazioni ufficiali di stima e riconoscenza a questo album che sono arrivate da gente come Kurt Cobain, Tool e altri nomi fondamentalmente molto distanti dalla scena Prog. Le chitarre di Fripp hanno la forza e la spregiudicatezza che caratterizzerà lo stile di molto del successivo metal “intelligente”: è possibile rendersene conto ascoltando la versione della title track presente nella versione deluxe dell’album, con le ritmiche della chitarra che creano un vero e proprio muro di suono. E’ forte anche il contrasto con la batteria di Bruford: asciutta, nervosa, assolutamente all’antitesi del classico rock drumming… adesso me lo vado a riascoltare!!

IN NEW YORK – Frank Zappa (1977)
Per la serie “Live è meglio”, anche se con numerosi editing (ma non per correggere errori oviamente, trattasi di editing musicale ed artistico… arte nella quale Zappa ha sempre indicato la strada) questo Zappa dal vivo rimane uno dei dischi fondamentali per la mia crescita, ed è ancora uno dei miei ascolti fissi quando sono in metropolitana… segno che questo album mi riesce ancora ad avvolgere totalmente. Ancora adesso, dopo così tanti anni, riesco a scoprire dettagli e preziosismi che escono fuori prepotentemente… e che band: Terry Bozzio, Eddie Jobson, Patrick O’Hearn, i Brecker brothers… oh yeah!!

ROXY & ELSEWHERE – Frank Zappa (1974)
Vale quanto scritto su “In New York”: un’altra line up ed un approccio diverso, ma la stessa qualità, sarcasmo e precisione infallibile….

POLYTOWN – David Torn, Mick Karn & Terry Bozzio (1994)
Tre dei musicisti che più amo ascoltare in un episodio purtroppo rimasto isolato: la chittara”liquida” di Torn, che avvolge il basso “sfuggente” di Karn e la batteria “spigolosa” di Bozzio… ancora oggi un album che mi commuove e riesce ad emozionarmi ad ogni ascolto. Consiglio vivamente di leggere l’autobiografia di Karn “Japan and self existence”, piena di storie su molti album, tra i quali questo capolavoro, oltre che uno spaccato sincero e sentito sulla vita di un musicista poco incline ai compromessi

REMAIN IN LIGHT – Talking Heads (1980)
Ancora una band FONDAMENTALE per la mia formazione e per la musica degli ultimi decenni: se non avessi cominciato ad amarli e seguirli non avrei scoperto Fela Kuti, l’Africa, il ritmo e le contaminazioni. Batteria semplice, basso semplice, cori semplici ma incastri perfetti, chitarre semplici ma il totale è sempre maggiore della somma delle parti. Questa è la regola aurea che credo di aver estratto dal lavoro di Byrne, Frantz, Weymouth e Harrison… poi con Belew… aiuto!! Li vidi al Palaeur di Roma nel 1980, con i B52s come spalla. Ho scoperto solo pochi mesi fa su youtube un video quasi integrale del concerto girato dalla Rai… a 15 anni sono esperienze che segnano!

MY LIFE IN THE BUSH OF GHOSTS – David Byrne & Brian Eno (1981)
Molto prima dei campionatori e dell’elettronica facile ed accessibile, questi due geni producono un album costituito da piccole perle create tagliando nastri con registrazioni provenienti dalle fonti più disparate: un predicatore alla radio, una voce di una pubblicità… il tutto ricostruito con delle basi strumentali che molto devono a “Remain in light”, anche se leggendo il bel libro sul lavoro di Eno “On Some Faraway Beach” si capisce che in effetti la gestazione di entrambi gli album fu simultanea e molto lunga. Per me ascoltarlo fu l’apertura di una porta su un mondo fatto di colori strumentali, voci (ma non cantate!) e strutture armonico/ritmiche assolutamente imprevedibili, che non seguivano gli schemi della canzone strofa/ritornello tipiche del periodo…

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